'Raccolta differenziata' anche nel cosmo?


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Rifiuti spaziali, ecco le orbite 'cimitero'

22mila relitti tecnologici 'galleggiano' nello Spazio. Un pericolo per i tanti satelliti che gravitano attorno alla Terra e per le missioni spaziali, come ha dimostrato il recente rischio di collisione tra Stazione Spaziale Internazionale e un rottame cosmico g

di Emanuela Gialli

Quanti occhi ci osservano dallo Spazio. Alcuni sono “antichi”, altri più giovani. Come quello attivato qualche mese fa dalla Difesa americana (Us Defence Advaced Research Project Agency): lo Space Surveillance Telescope, il telescopio che sorveglia l’orbita, per evitare scontri tra satelliti e spazzatura cosmica. Il fatto che nasca dall’Agenzia per la Difesa degli Stati Uniti, tradisce la sua natura e funzione, destinate soprattutto a “proteggere” i satelliti militari da pericolose “infrazioni”. Ma, in effetti, è di aiuto per tutti gli Stati che abitano lo spazio, attraverso i loro tanti bracci operativi, o “longa manus”. A cominciare dalla Stazione Spaziale Internazionale, che proprio di recente, tra giugno e luglio, ha rischiato la collisione con un rottame cosmico, passato a 250 metri soltanto dalla ISS a una velocità di 7,5 km al secondo, che, in caso di impatto, unita a quella della Stazione avrebbe scatenato energie distruttive. L’equipaggio è stato evacuato e confinato per oltre trenta minuti e fino al cessato allarme nelle capsule Soyuz di emergenza. Poiché per il momento questi oggetti, circa 22 mila, a 35 mila chilometri di altezza e che si avvicinano alla Terra a velocità media di 50 km/h, non è possibile eliminarli, l’unica cosa che si può fare è controllarli, a distanza, e fornirne le coordinate per localizzarli . Il telescopio della Darpa americana, costato 110 milioni di dollari, ha un’apertura di tre metri e mezzo, riesce a scandagliare il cielo più velocemente dei vecchi radar ed è in grado di scorgere frammenti anche al di sotto dei dieci centimetri. E’ stato installato nel Nuovo Messico, a Socorro.

Non si vuole in questo modo legittimare un’idea contraria all’uso dei satelliti nello spazio. I satelliti sono, per non dire importanti, aggettivo ormai scontato e abusato, propedeutici agli studi della Fisica e utili per tutti noi. Ad esempio, i satelliti europei del Progetto “Galileo”, spediti nello Spazio lo scorso ottobre, hanno a bordo gli orologi atomici. Mario Caporale, responsabile delle Strategie per Navigazione satellitare, Telecomunicazioni e Osservazione della Terra dell’Agenzia Spaziale Italiana.

Come funzionano gli orologi atomici?
Sono orologi che hanno una precisione dettata dalla capacità di controllare l’oscillazione di alcuni elementi atomici. La tecnologia precedente, al quarzo, usava l’oscillazione degli atomi del quarzo, che è molto stabile. Quelli atomici in realtà fanno oscillare alcuni elementi atomici di certi materiali. Nel caso dell’orologio atomico di “Galileo” è l’idrogeno, che viene accelerato in modo da generare altre particelle che hanno una frequenza di oscillazione molto più stabile del quarzo, fino ad arrivare ad una accuratezza di 10 alla meno 14 secondi. Questa precisione è controbilanciata da una “deriva” che tutti questi sistemi hanno, che deve essere corretta dal segmento di terra. Infatti, segmenti di terra di “Galileo”, come quelli dei Gps, trasmettono continuamente piccole correzioni a questi orologi. La precisione così elevata serve principalmente per determinare con maggiore accuratezza la posizione: con un apparecchio si riceve il segnale di “Galileo”, che contiene il dato cronologico, fornito dall’orologio atomico, di quando il segnale è partito. In questo modo si può calcolare con estrema precisione lo spazio percorso da questo segnale, fino al ricevitore, grazie alle leggi della meccanica, spazio=velocitàxtempo, e la velocità è quella della luce. Quindi, con il sistema “Galileo” si possono ottenere delle precisioni di posizionamento nell’ordine di 1 metro. Il Gps invece ha un’accuratezza che oscilla tra i 16 e i 20 metri. Negli anni passati, quando c’era anche il problema della Guerra Fredda, il Gps aveva dei disturbi a bordo sul segnale civile, che peggioravano la precisione: il posizionamento di un veicolo aveva un margine di errore di almeno 100 metri.

Stiamo parlando degli orologi atomici utilizzati per misurare la velocità dei neutrini, che, abbiamo visto con gli esperimenti nel Laboratorio del Gran Sasso, sembra sia superiore a quella della luce?
Sì certo. Le particelle subnucleari sono velocissime e di conseguenza per poterle determinare occorrono risoluzioni temporali molto elevate. “Galileo” ha anche il compito di contribuire a definire il “tempo internazionale”. Il sistema UTC (Universal Time Coordinated) è alimentato dagli orologi atomici di tutto il mondo. Oggi il contributo maggiore arriva dal Gps americano. “Galileo” si pone l’obiettivo di diventare un fornitore importante di dati relativi al tempo atomico internazionale.

Ma quanti satelliti ci sono attualmente nello Spazio? Qualcuno è in grado di fare il conto? Lei dice di tutti i tipi?
Sono diverse migliaia.

Questi satelliti, una volta nello Spazio, avranno bisogno di una manutenzione...
I satelliti non hanno bisogno di manutenzione vera e propria. Da terra vengono svolte operazioni di controllo e eventuale aggiustamento via telecomandi e software.

Quindi sono eterni, in teoria. Però ogni tanto qualche satellite precipita e rischia di impattare la Terra.
Quando arrivano a fine-vita vengono fatti ricadere. La fine vita è essenzialmente dettata dall’esaurimento del carburante per il controllo orbitale. La vita media di un satellite “Galileo” è in media di 10-11 anni. I due lanciati il 21 ottobre dovrebbero ricadere tra il 2021 e il 2022. Poi ci si dovrà porre il problema di sostituire quelli che muoiono.

La loro morte può essere pilotata in modo che non si scontrino con la Terra?
Per i satelliti tipo “Galileo” questo problema in realtà non esiste, perché sono a quote molto elevate, intorno ai 23 mila chilometri sopra la terra. Mentre il satellite tedesco, l’ultimo ricaduto, stava a 5-600 km. I satelliti che stanno in orbite cosiddette “M.E.O.” (Medium Earth Orbit), come quelli di “Galileo”, una volta morti rimangono nello Spazio per centinaia di anni. Normalmente, quello che si fa è addirittura di spostarli su orbite superiori.

Ma come si fa? Se muoiono, in teoria non rispondono più ai comandi da terra. O sbaglio? Come si riesce a orientare i satelliti così distanti e far loro cambiare rotta?
Quando il satellite sta per morire e quindi in condizioni ancora funzionanti, gli vengono dati dei comandi per mandarli nelle orbite “cimitero” .

Quali sono e dove sono le orbite cimitero?
Per il sistema Galileo sono al di sopra della quota nominale, a circa 25 mila km di quota. Oggi ci troviamo in una situazione di “gusci satellitari”. Al di sopra di Galileo non c’è nient’altro. Invece al di sotto ci sono i satelliti Compass, i Gps, i Glonass. Però le distanze tra questi satelliti sono dell’ordine di almeno 1000 km che fanno sì che i satelliti “morti” non vanno a disturbare gli altri.

Quindi, nello Spazio si perde un po’ tutto. Difficilmente gli oggetti si recuperano ma magari, dopo chissà quante migliaia di anni , potrebbero ritornare.
No, in effetti il rischio di ricaduta sulla Terra riguarda quelli molto vicini, a 500 km di orbita. Io tra l’altro. essendo membro di un Comitato internazionale sulla navigazione satellitare, recentemente ho sollevato l’esigenza di definire una politica di smaltimento dei “rifiuti spaziali”. Una problematica questa che è molto meno sentita rispetto agli altri tempi, perché oggi ha un impatto quasi nullo.

A un certo punto, si dovrà arrivare a una “raccolta differenziata” anche nello Spazio. Però bisognerà iniziare laddove ci sono grosse criticità. I sistemi di osservazione della Terra, ad esempio, stanno a una distanza di poche centinaia di km e sono quelli più rischiosi. Un’altra zona molto affollata, e dunque a rischio, è quella occupata dai satelliti geostazionari, per esempio quelli per le comunicazioni televisive e quelli per le previsioni meteo.