Le elezioni del dopo-Mubarak


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'Il voto sta cambiando gli egiziani'

Intervista a Randa Achmawi, analista politica egiziana

di Valerio Ruggiero

L’Egitto prova a voltare pagina. Con l’avvio della prima tappa delle elezioni politiche, si tenta di disegnare un dopo-Mubarak democratico, in linea con gli ideali della rivoluzione che ha posto fine a trent’anni di regime. Ma le incognite restano molte e insidiose. Abbiamo chiesto a Randa Achmawi, analista politica egiziana per molti anni corrispondente a Parigi del settimanale Al Ahram Hebdo, un giudizio sul complesso e lungo processo elettorale appena cominciato.

“Malgrado tutto il pessimismo provocato dagli scontri di piazza Tahrir e dalla repressione da parte di esercito e polizia, credo che il livello altissimo di partecipazione di questi primi due giorni di voto faccia ben sperare. Il solo fatto di andare alle urne e scegliere i candidati sta certamente trasformando gli egiziani. Per la prima volta si assumono delle responsabilità e cominciano a credere che la loro partecipazione porti a una migliore gestione del Paese, dunque renda migliore in futuro la qualità delle loro vite. E’ vero che c’è molto spazio per i brogli e che ci saranno molte irregolarità. Anche la violenza non è da escludere. Ma credo che gli egiziani siano cambiati. Contrariamente al passato, ora sono attenti e si sentono rafforzati dalla loro rivoluzione. Sanno che ci saranno molti tentativi di manipolare i risultati. Credo anche che i partiti che partecipano al voto giocheranno un ruolo essenziale nel monitorare le elezioni. E infine, i militari che controllano e dirigono l’intero processo hanno l’interesse che tutto fili liscio e non provochi ulteriori proteste e spargimenti di sangue”.

I militari sembrano voler prendere tempo e hanno promesso elezioni presidenziali entro giugno. Basterà?
“Credo che la loro decisione sia stata una vittoria delle recenti proteste in piazza Tahrir. Ovviamente non è sufficiente. Molte delle richieste della piazza sono legate alla fine dei processi militari per i civili e alle inchieste sull’uccisione dei manifestanti. Non è chiaro dal discorso di Tantawi (capo del Consiglio supremo delle Forze armate, ndr) se questo accadrà. Naturalmente i militari non hanno interesse a fare delle concessioni che li metterebbero di fronte alle loro responsabilità, e tentano di guadagnare tempo e preservare il loro potere. Ma diventa sempre più difficile: all’inizio hanno scommesso sulla “maggioranza silenziosa”, ma giorno dopo giorno la loro popolarità sta diminuendo e diventa sempre più difficile governare contro la volontà del popolo”.

Molti manifestanti pensano che la rivoluzione sia stata tradita. Esiste in Egitto una “società civile” in grado di costringere i militari a rispettare le loro promesse?
“Sì, gli oppositori in generale hanno capito che la loro rivoluzione è stata ‘rubata’. E questa è la ragione per cui sono andati in piazza Tahrir. Era inevitabile: all’inizio di novembre, i militari hanno presentato due emendamenti alla Costituzione che garantirebbero l’assenza di controlli esterni sul loro budget e sulle loro attività. In pratica, hanno tentato di costituirsi in permanenza come una forza al di sopra delle forze politiche e del popolo. Come tutti sanno, la risposta di piazza Tahrir è stata: le Forze armate, come ogni altra istituzione, appartengono alla Nazione, quindi al popolo.

Ovviamente, non possono porsi al di sopra del popolo. Quanto alla ‘società civile’, credo che questo concetto in Egitto stia per diventare una realtà. Si poteva scorgere la sua nascita già nelle prime manifestazioni del 25 gennaio. E i giovani aiutano la gente a diventare consapevole dei propri diritti e a difenderli a qualsiasi prezzo. Questo processo è continuato nei mesi seguenti, e va avanti anche ora”.

I Fratelli musulmani negoziano con i militari e sono i favoriti alle elezioni. C’è il rischio che in Egitto nasca un nuovo potere dalla loro possibile alleanza?
La teoria secondo cui la Fratellanza musulmana e i militari complottassero segretamente per un governo comune è stata adottata da molti – me compresa – nei mesi scorsi. C’erano molte indicazioni in questo senso. Qualcuno disse persino che l’Arabia saudita si celasse dietro a questo ‘matrimonio di convenienza’, usando le proprie risorse economiche per convincere le due parti a lavorare assieme per garantire un governo islamico autoritario e distruggere la democrazia.

E’ possibile che questo per un certo periodo sia avvenuto, ma non ci sono prove che siano arrivati a un accordo del genere. Quello che possiamo dedurre a questo punto è: se anche c’è stata una sorta di ‘alleanza’ tra i Fratelli musulmani, gruppi Salafiti e i militari, questo accordo è certamente venuto meno il mese scorso, quando il Consiglio supremo delle Forze armate ha diffuso il documento che affermava la prevalenza dei propri interessi su qualsiasi governo futuro. Ovviamente i Fratelli musulmani, che contano di arrivare al potere grazie alle elezioni, si sono opposti, sentendo minacciati i propri interessi. Per questo oggi non possiamo pensare a un alleanza tra vertici militari e gruppi islamici in Egitto”.