Due terzi dei bambini e adolescenti dei Territori non hanno spazi sicuri dove poter giocare, svolgere attività socio- ricreative ed interagire. Nel campo profughi di Jenin i rifugiati vivono in condizioni di grande sovraffollamento e non c'è neppure uno spazio per far giocare a pallone i bambini. In questa zona, la disperazione ha toccato picchi maggiori che altrove.
Tutti i commerci sono bloccati dalla chiusura dei valichi. A Barta'a, 3.500 anime, i medicinali arrivano solo grazie ai pochi cittadini che dopo ore di attesa riescono a superare il check point che isola il villaggio.
Eppure nell'area di Jenin, ci racconta Donata Lodi, direttore dei programmi Unicef per l'Italia, succede qualcosa di diverso dalla violenza e dalla disperazione. A Jalameh, villaggio a due passi dal confine, Naim Sadi, responsabile per l'Unicef di Jenin, ha deciso di creare, con il contributo di terra e lavoro offerto dalla gente del posto, uno "spicchio di normalità": un parco- giochi per bambini, con altalene, scivoli, sabbia pulita e una zona d'ombra. Oltre ai bimbi del posto, "vengono a sedersi e giocare qui famiglie da tutta la zona, Jenin compresa", dice Khaled, che guida il locale consiglio cittadino.
B. B.
Nella foto: Il parco giochi realizzato dall’UNICEF con le ONG e le comunità locali vicino ad Hebron, su un’altura che era una volta una base militare israeliana. E’ l’unico campo giochi della zona, lo frequentano tutto l’anno migliaia di famiglie e scuole - Immagine tratta dal sito dell'Unicef - www.unicef.it