di Nello Rega
“Il sangue dei martiri dell’Egitto non sarà versato invano”. In un cartello con questa scritta vi è tutta la voglia degli egiziani di vivere la democrazia e la libertà. Quelle che solo lo scorso gennaio sembravano impossibili da conquistare e difendere. Oggi, nella stessa piazza Tahrir che il 25 gennaio scorso ospitò la protesta di decine di migliaia di egiziani, le manifestazioni preseguono. Così come le violenze. In tre giorni di proteste i morti sono stati a decine, migliaia i feriti. La polizia ha caricato furiosamente giovani, donne, anziani, uomini. Ha usato lacrimogeni e tentato con ogni mezzo di “allontanare le richieste”. Il popolo della libertà vuole solo che il Consiglio superiore delle forze armate, quello creato dopo l’uscita di scena del presidente Mubarak, ceda il potere a un governo di civili. Anche se sono cambiati i volti e i nomi, le uniformi che guidano un popolo e uno Stato hanno le stesse linee guida. Lo sanno bene quelli che sono riusciti a vedere su Youtube, il cui potere di divulgazione è più alto di quello di qualsiasi proclama legislativo, la scena di un corpo inerme in piazza Tahrir che viene trascinato nell’immondizia da un poliziotto davanti allo sguardo di due colleghi. Nel movimento il corpo lascia dietro di sé una evidente scia. Probabilmente sangue. Davanti a scene come questa, così come quelle di arresti, lacrimogeni, fughe all’impazzata, il governo del premier Sharaf ha ribadito che è impegnato per far svolgere il prossimo lunedì le elezioni legislative. Reazione diversa, invece, ha mosso il ministro della Cultura Ghazi: le sue dimissioni contro l’atteggiamento del governo di fronte alle proteste di piazza.
In questo clima di violenze e legittime richiesta, l’Egitto si avvia a eleggere un nuovo Parlamento che dovrà ridare fiducia nelle istituzione al suo popolo e alla comunità internazionale. La stessa che da giorni condanna la dura repressione delle proteste e il “pugno di ferro” dei militari.
Forse non basterà l’inchiesta sollecitata dal Consiglio supremo delle forze armate sui fatti di questi giorni, così come le parole del premier. Le scene del processo all’ex presidente Mubarak, disteso su una barella all’interno della gabbia del tribunale, sembrano così lontane. Ed era solo il 3 agosto scorso.
I giorni che separano l’Egitto dal voto di lunedì prossimo potrebbero essere “vincolati” alle proteste di piazza Tahrir o alla memoria di quell’uomo che il 17 gennaio scorso si diede fuoco, sulla scia di quanto accaduto in Tunisia al venditore ambulante Mahammed Bouazizi. I partiti, che hanno unanimemente condannato le violenze di queste ultime ore, “scalciano” per conquistare il voto degli egiziani. Dalle formazione laiche a quelle ultrareligiose (date per favorite), tutti proclamano un nuovo Egitto nel nome della rivoluzione di “primavera” e dei soprusi perpetrati da Mubarak. Tutti sembrano uniti su questo nuovo orizzonte. Ma lo saranno anche per evitare che la “rivoluzione di primavera” non si trasformi in una “utopia d’inverno”