Progetti per Herat


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Raccontare le donne afghane

Due studentesse di giornalismo spiegano la loro scelta g

di Valerio Ruggiero

“Fin da bambina ho deciso che, una volta cresciuta, sarei diventata una giornalista. Una giornalista donna. Perché volevo parlare dei problemi della donna nella società afghana”. Oranous Honib ha 22 anni. Studia giornalismo all’università di Herat, e dopo le lezioni collabora con Mahain Tv, un canale televisivo locale. ”I problemi che abbiamo sono tanti: prima di tutto la sicurezza, poi la libertà. Non siamo libere in Afghanistan, e attraverso il mio lavoro io voglio esserlo”, spiega.

Ma fare la giornalista in Afghanistan non è semplice per una ragazza: gli ostacoli da superare sono enormi. E non mancano i pericoli. Come l’ha presa la tua famiglia, quando hai detto che volevi diventare una reporter? “In quel momento la mia famiglia mi ha appoggiata e incoraggiata. E ancora adesso lo fa, lungo la strada che ho scelto, perché per me è la più interessante: voglio lavorare per il mio popolo, aiutarlo a conoscere i problemi e ad affrontarli.”

Oranous è in Italia per uno stage di giornalismo: prima a Roma, nelle redazioni Rai di Saxa Rubra, poi a Milano, al Corriere della Sera, Avvenire e presso la scuola di giornalismo dell’Università Cattolica che, assieme alla Fondazione Fondiaria Sai, organizza dal 2010 corsi di reportage giornalistico a Herat.

Con lei sono arrivati altri 4 studenti-giornalisti, tre ragazze e un ragazzo, e un insegnante. Tra loro c’è Shahin Pouya, 21 anni. Quali sono le principali difficoltà che incontrate? “In Afghanistan solo il 4% delle donne sa leggere e scrivere: questo forse è il problema maggiore”, dice Shahin. “Per la nostra cultura, poi, una donna non dovrebbe fare la giornalista: la gente pensa che sia una cosa sbagliata. Se mi trovo in strada, ad esempio, non posso fare domande, né scattare foto, perché molti ti dicono: ‘Non sei una musulmana’, e ti coprono di insulti. Io voglio fare la giornalista per cambiare le cose. Ho pensato: io comincio, forse in futuro sarà più facile per altre donne afghane diventare giornaliste”.

Ma qualcosa sta cambiando per le donne? “Qualcosa sì. Quando ho cominciato l’università a Herat, due anni fa, eravamo 50 studenti. Solo quattro erano ragazze”, risponde Shahin. “Ora siamo 15 su 50”. E nel mondo del lavoro? “Il numero delle donne nel mondo dell’economia e della politica sta continuando a crescere, anche se lentamente”, dice Oranous. “Ora va meglio rispetto ai tempi del regime dei talebani, ma solo poco meglio”, precisa Shahin.

Dall’Afghanistan arrivano in Occidente quasi solo notizie di violenze. Cosa ci dite della vita quotidiana?  Oranous spiega: “La vita di tutti i giorni è diversa da quella di qualsiasi altro Paese. Anche se alcune donne lavorano fuori casa, quindi escono per andare a lavorare – ma saranno forse il 10% delle donne afghane – quando si sposano in genere tornano ad occuparsi solo dei bambini e della casa. Tutte le altre donne restano a casa, con i figli. La maggior parte degli uomini, ma anche molte donne, pensano che sia la casa il posto delle donne”.

Voi siete andate a scuola, poi all’università. Non deve essere stato facile. “Abbiamo 34 province in Afghanistan, ma solo in 4 o 5 province le ragazze, o meglio molte delle ragazze, possono andare a scuola senza grandi problemi”, dice Shahin. “Nelle altre province i problemi sono enormi, e le bambine non ricevono un’educazione. Tantissime donne in Afghanistan non sanno nulla dei loro diritti: restano a casa, cucinano, allevano i figli, ed è tutto”.

Le 15 studentesse di giornalismo dell’università di Herat (su un totale di 25 iscritti) collaborano a un web magazine, Women to Be, con le loro storie e i loro reportage sulla vita delle donne e della società civile nella regione. L’intento dell’intero progetto è raccontare il Paese attraverso gli occhi delle afghane e degli afghani, e non soltanto attraverso gli inviati dei media occidentali. Ragazze come Oranous e Shahin vogliono dare il loro contributo per un futuro migliore in Afghanistan, dove le sfide restano impegnative e gravi sono le emergenze. La condizione della donna è tra queste.