di Maurizio IorioKasabian
"Velociraptor" - (Sony)
L’immagine del mostro jurassico che addenta tutto quello che trova sul suo cammino rende bene quella della band di Leicester, da sempre affetta dalla sindrome del gigantismo megalomane, tipica dei grandi artisti, alla quale spesso si associa anche un incurabile narcisismo. Bulimici di forme musicali primarie, i Kasabian mescolano in una sorta di calderone antropofago tutto quello che i loro neuroni hanno assorbito negli anni della crescita. Rolling Stones e Primal Scream sono i riferimenti più evidenti ma, ad analizzare bene la polvere sotto il tappeto, ritroviamo il Morricone degli spaghetti-western, i Beatles di “Revolver”, la psichedelia californiana degli anni ’70, i Pink Floyd di Syd Barrett, e il pop dei Coldplay, tanto per gradire. Serge Pizzorno e Tom Meighan, i due leader del quartetto, hanno composto un’ambiziosa suite cinematografica, infarcita di citazioni, peraltro suggestive e ben mescolate. In Gran Bretagna i Kasabian sono la band del momento, se Pizzorno e Meighan non si scornano come i fratelli Gallagher, potrebbero durare a lungo. Ry Cooder
"Pull up some dust and sit down" - (Nonesuch)
“Solleva un po’ di polvere e mettiti a sedere”. Bel titolo, che fa venire a mente le dust ballads di Woody Gutrhie e il fantasma di Tom Joad di Bruce Springsteen. Che, guarda caso, raccontava l’epopea della famiglia Joad, in fuga dall’Oklahoma verso la California, all’epoca della Grande Depressione. Il parallelo con quella odierna, di Grande depressione, è facile, e il vecchio chitarrista californiano (colonna sonora di “Paris, Texas” e fondatore del Buena Vista Social Club) riprende con rabbia i protagonisti del ’29 attualizzandoli: gli eroi del quotidiano, i disperati, le famiglie in crisi, i dropouts, contrapposti alla razza padrona, ai farabutti che gestiscono le finanze mondiali da dietro una scrivania, e premendo un semplice tasto decidono che qualcuno, domani, andrà a vivere sotto i ponti. Cooder, musicista poliedrico, indirizza i suoi strali polemici verso finanzieri e politici (George W. Bush si becca una bella dose di insulti), e per farlo usa la musica popolare: il blues, il calypso, il tex-mex, il folk, e il rock. Roba d’antan, per quelli che amano incondizionatamente le “roots” americane, ricoperte di polvere dal vento.