L'opinione di un esperto


Stampa

Alluvioni, colpa dei cambiamenti climatici?

Per Visconti nessuna relazione: 'Sono illazioni' g

di Emanuela Gialli

Per Guido Visconti, professore di Fisica dell’Atmosfera e dell’Oceano all’Università de L’Aquila, le morti nel fango hanno poco a che fare con il clima che, secondo alcuni, si sarebbe modificato. “Queste sono illazioni. Il problema è che bisogna darsi una regolata su come le cose vanno fatte”, dice Visconti.

Si sente dire sempre più spesso che sono in atto forti cambiamenti climatici. E’ solo una percezione o c’è qualcosa di fondato?
Quella dei “cambiamenti climatici” è ormai una questione politica, perché evidenze scientifiche non esistono. Per stabilire se sta cambiando o meno il clima in una certa regione dobbiamo fare delle medie su 50 anni. L’unico dato certo, solido, è che la temperatura è aumentata di frazioni di grado in 50 anni. Il resto sono tutte illazioni: chi la gira in un modo, chi in un altro, ma di fatto non esiste nessuna prova scientifica che ci siano variazioni nel regime delle piogge o delle nevi.

E’ dunque il surriscaldamento del pianeta la causa di questa abbondanza delle piogge?
Questo non si può dire. Anche se la temperatura è cambiata in 50 anni di tre decimi, quattro decimi di grado, non significa che poi questo si ripercuota sul regime delle piogge e su tutto il resto. Questo è opinabile. Oggi, ripeto, i dati certi sono: a) la variazione di temperatura; b) la riferibilità delle modificazioni termiche agli ultimi 50 anni. Il resto ribadisco sono illazioni. Tenga conto che quello che muove gli scienziati è l’ambizione personale e sono i soldi. Aggiunga questo aspetto ed ha un quadro perfetto della situazione.

Sostanzialmente ci sta dicendo che non ci dobbiamo allarmare, che i fenomeni cui assistiamo sono nella norma? Però, questa abbondanza delle piogge fa sì che il territorio, che è stato molto maltrattato in Italia, reagisca come abbiamo visto. Allora da che dipende?
Dipende da una cosa, molto importante. Mano mano che andiamo avanti le nostre infrastrutture sono sempre più vulnerabili al maltempo. Le piogge nell’alluvione del ’66 a Firenze hanno avuto un determinato impatto. Se la stessa cosa succedesse oggi, l’impatto sarebbe 10 volte tanto. Lei pensi solo a quello che è successo in questi giorni a Genova: la rete telefonica è andata in tilt, le comunicazioni di tutti i generi sono andate in tilt, i ponti sono crollati. Le infrastrutture diventano sempre più esposte agli eventi meteorologici, che rientrano comunque nella normalità.

Lei sta dicendo che le infrastrutture non sono più vulnerabili perché è cambiata la dimensione dei fenomeni, ma perché sono più numerose?
Esatto. Sono più numerose. A questo si aggiunge un’altra tendenza, quella della popolazione a spostarsi dalle zone interne verso le coste, dove si costruisce di più: case, strade, etc.. E le coste sono sempre l’elemento più a rischio. Consideri gli uragani in America o i tifoni in Asia, i temporali violenti in Europa: questi fenomeni hanno effetti deleteri quasi sempre nelle zone costiere. Come nel caso delle cinque Terre. La gente ha l’impressione che ci sia il disastro causato dall’eccezionalità dei fenomeni meteorologici e invece questo non è vero: non c’è nessuna eccezionalità. Addirittura sono stati fatti degli studi sistematici sull’impatto economico che hanno avuto gli eventi meteo negli ultimi 50 anni e si è visto che cresce costantemente anche se l’intensità dei fenomeni è sempre la stessa. Piuttosto di parlare facendo illazioni, bisognerebbe darsi una regolata su come vanno fatte le cose.

Su come si costruisce e su come si realizzano le infrastrutture, dice lei. I governi, nazionali e locali, potrebbero agire e prendere decisioni più in accordo con gli esperti del clima ed i meteorologi?
La interrompo e le dico: come no. Questo settore, soprattutto in Italia, è completamente trascurato. Se lei guarda solo ai finanziamenti che il nostro Paese riserva a questo settore, si mette a ridere. L’Italia, insieme alla Grecia, è l’unico Paese del mondo occidentale che ha un Servizio meteorologico nazionale militare e non civile. Neanche in Russia, o in Nord Corea, il Servizio meteo è militare.

E c’è un aspetto negativo in questo, secondo lei?
Sì, l’aspetto negativo è che non si fa ricerca. E ogni anno questa struttura dell’Aeronautica riceve dallo Stato 100 milioni di euro, solo per la gestione del Servizio meteorologico. Pensi che dopo Soverato, la Protezione civile ha preso l’iniziativa ed ha costituito una rete radar nazionale, perché fino ad allora il Servizio meteorologico dell’Aeronautica non aveva ritenuto opportuno dotare il Paese di radar meteorologici, che invece esistono in tutti i Paesi del mondo. Negli Stati Uniti la meteorologia da 50 anni viene sviluppata con i “radar meteorologici”, oltre che con i modelli di previsione. C’è un altro dato: in Italia ci sono 250 cattedre universitarie, professori di prima fascia, nel settore delle particelle elementari. Nel mio settore, quello della meteorologia, ci sono solo 5 cattedre.

Lei propone di introdurre in Italia un Servizio meteo civile professor Visconti?
Sì. Pensi solo che un Servizio meteo civile procura posti di lavoro, come succede negli altri Paesi. Perché bisogna essere militare per fare il meteorologo?

Lei parla di un Servizio civile che si muove sempre nel pubblico, però.
Sì certo, assolutamente.

Senza ricerca, dunque dice lei, non si affina la mappatura del Paese, in base ai rischi meteo?
E’ chiaro. Paradossalmente, dopo l’iniziativa della Protezione civile sono nati i Servizi meteorologici regionali che sono molto più competitivi rispetto a quello nazionale. Il Servizio dovrebbe funzionare come un’Agenzia.

Dovrebbe essere in seno alla Protezione civile?
Si, ad esempio, potrebbe essere una soluzione. Pensi che la NOAA la National Oceanic and Atmospheric Administration degli Stati Uniti dipende dal “ministero” del Commercio. Perché questo? Perché l’America si è resa conto che la meteorologia ha un impatto su una serie di settori economici, che riguardano praticamente tutto: dalle costruzioni edili, ai trasporti, al commercio, appunto. Invece in Italia no, è in mano ai militari.

Cosa farebbe un Servizio meteo civile in Italia?
Con un Servizio civile ben organizzato sul territorio, sviluppando la ricerca in questo settore, le cose potrebbero migliorare drasticamente. Negli Stati Uniti, ad esempio, negli ultimi anni si è istituita una laurea multidisciplinare in “Management dei rischi naturali”, a livello universitario. E’ una laurea che necessita di conoscenze in campo meteo e climatologico ed economico. Questo dovrebbe essere lo spirito.

Quindi, un Servizio meteorologico civile italiano da una parte dovrebbe essere di supporto all’azione della Protezione civile, che potrebbe diventare “Prevenzione civile”…
Sì, esatto, è proprio così.

E dall’altra dovrebbe elaborare una mappatura del territorio, indicando le aree maggiormente intensive, sulle quali insistono fitte reti di infrastrutture, in modo da proteggerle, appunto a scopo preventivo.
Esatto.

Tutto questo sempre però in considerazione dell’evoluzione del clima e delle condizioni meteo.
Sì. Questo aspetto viene definito in termini tecnici “adattabilità”. Mi spiego. Supponiamo che ci siano delle variazioni climatiche che comportano dei fenomeni estremi più frequenti, come vi facciamo fronte? E’ necessario studiare, sul campo o attraverso simulazioni, la tenuta delle infrastrutture. In altri Paesi si procede in questo modo. Da noi invece si continua a parlare di cambiamenti climatici, che ripeto, a mio avviso sono illazioni. Ma ammettiamo pure che fossero veri, che stiamo facendo per contrastarli? Niente. Mentre servirebbero, ribadisco, studi di adattabilità ad eventuali cambiamenti climatici. Questo è un altro settore da sviluppare.

Ma si prevedono o no nei prossimi anni forti cambiamenti climatici?
Le simulazioni che si fanno con i modelli parlano di effetti come la desertificazione, ma prove effettive che questo accadrà non ci sono. Dobbiamo però sempre prepararci al peggio ed essere pronti ad affrontarlo.

Qualche domanda all’Aeronautica militare sul Servizio Meteorologico

Come mai il Servizio meteorologico in Italia, l'unico Paese al mondo insieme alla Grecia, è affidato all'Aeronautica militare?
Il servizio meteo nazionale, inteso come attività operativa di osservazione, previsione, archiviazione e scambio internazionale dell’informazione meteorologica, è svolto in Italia dall’Aeronautica Militare (AM) su specifico mandato conferito al Capo di Stato Maggiore con DPR 556/99, art. 16, comma 3., para b). Sussistono inoltre diversi mandati legislativi riguardo l’attribuzione all’AM dell’onere di rappresentanza nazionale nelle organizzazioni meteorologiche internazionali. E' vero che ricevete ogni anno dallo Stato 100 milioni di euro di finanziamenti, che destinate solo alla gestione del Servizio e non alla ricerca? L’ Aeronautica Militare garantisce da oltre 70 anni il servizio meteorologico nazionale traendo le necessarie risorse umane e finanziarie rispettivamente dal proprio organico e dal proprio bilancio. Non ci sono finanziamenti specifici da parte di altri enti statali, nazionali o internazionali, fatta eccezione per un minimo contributo ricevuto dal Dipartimento della Protezione Civile della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Il servizio è in linea con gli standard dell’organizzazione meteorologica mondiale (OMM) ed è all’avanguardia dal punto di vista scientifico, grazie alla continua collaborazione nel settore della ricerca con l’Istituto di Scienze Atmosferiche e Clima (ISAC) del Centro Nazionale delle Ricerche.

Cosa manca al Servizio che fornite?
Pur nella delicata congiuntura finanziaria, il servizio meteo dell’AM è riuscito sino ad oggi a garantire l’assolvimento dei compiti d’istituto, con un impegno continuo e costante, 24 ore al giorno e 365 giorni l’anno, del proprio personale. Per dare un’idea dell’universalità d’impiego dei dati forniti dal Servizio, basti sapere che circa l’80% del volume dell’informazione meteorologica prodotta è destinata alle utenze civili.

Alla domanda: “Come vedreste un Servizio meteorologico civile?”, non hanno ritenuto opportuno rispondere “per non entrare in contrapposizioni e polemiche”.