Verona Cavalli chiude i battenti in lutto, morto il campione Hickstead

Appuntamento alla prossima edizione, focus sullo spettacolo verona_cavalli_2011_296

di Federica Marino

Si è conclusa, funestata dalla morte di un importante cavallo, la 113esima edizione di Verona Cavalli: tutto è accaduto durante la tappa italiana della coppa mondiale Fei di salto ostacoli indoor. Hickstead, il quindicenne cavallo del campione olimpionico in carica Eric Lamaze è crollato a terra alla fine di un percorso quasi netto. Un aneurisma, probabilmente, lo ha ucciso in brevissimo tempo: immediata la decisione del cavaliere canadese e degli altri concorrenti di sospendere la gara, tra gli applausi del pubblico.

Fino a quel momento la kermesse veronese si era svolta senza incidenti e con soddisfazione di organizzatori ed espositori: moltissimi i visitatori, malgrado la pioggia caduta fitta e a intervalli sulla città, per un importante punto di riferimento, non solo italiano, per il settore equestre e ippico.

Come di consueto, i padiglioni della fiera hanno radunato le più disparate realtà: allevamento e turismo, agonismo e tradizioni, con le tematiche legate al cavallo come risorsa sociale e lo spettacolo. Non solo Gala, quest’anno, ma anche un talent show alla scoperta di giovani performer a cavallo e il concorso fotografico Un clic fuori dal ring. L’artista equestre e il fotografo vincitori delle due iniziative parteciperanno all’edizione del prossimo anno esponendo le proprie opere in una mostra personale ed esibendosi nello spettacolo istituzionale.

Quest’ultimo è tornato alle origini, riprendendo il titolo del 1989 dopo alcuni anni di “Horse Lyrics”: vincente la scelta degli anni passati di abbinare cavalli e musica, lirica o dal grande schermo, ma per il 2011 si è spontaneamente imposta la scelta di celebrare i 150 anni dell’Unità d’Italia. Così “Celebration” si è aperto con l’Inno di Mameli ed è proseguito in scene e quadri legati alla storia italiana: non potevano mancare il Carosello e la Fanfara dei Carabinieri, tornati per l’occasione a Verona dopo dodici anni a rievocare, sulle musiche di Verdi, la Carica di Pastrengo: durante l’omonima battaglia nelle campagne veronesi, il 30 aprile 1848, i Carabinieri Reali incaricati di proteggere Carlo Alberto di Savoia ruppero le linee austriache con una carica di cavalleria che portò le truppe piemontesi in vantaggio.

Un’altra incursione, non belligerante ma anzi nell’ottica di una sorta di gemellaggio, quella del Carnevale Romano, sbarcato a Verona per una dimostrazione e per la presentazione dell’edizione 2012. Durante un convegno dedicato allo stato dello spettacolo equestre in Italia, il direttore artistico Rodolfo Lorenzini ha ripercorso la storia di questa manifestazione e fatto il punto su presente e prospettive in Italia.

Perché nel nostro Paese la tradizione dello spettacolo equestre, che pure c’era ed era forte, è rimasta tanto indietro rispetto alla Francia di Bartabas,ma anche alla Spagna e alla Germania?
L’Italia, è vero, è stata la patria del cavallo. Fin dal crollo dell’Impero bizantino gli uomini di cavallo che vi si trovavano arrivarono sulla Penisola – e da qui in Europa via terra – a Mantova – e via mare a Bari, dove infatti nacquero vere e proprie scuole equestri: tecnica e competenza al servizio dei signori del tempo.

Quello che nei secoli è mancato all’Italia – e manca ancora oggi - rispetto ad altri Paesi, è l’omogeneità: se Bartabas è riuscito a “bucare” con il suo teatro equestre, è perché ha saputo rimettere insieme elementi forti: da un lato la cultura popolare del circo, dall’altro quella “alta” dell’equitazione classica di corte. Ma il progetto di Bartabas ha avuto anche, e non è poco, il sostegno di una politica che ha saputo coglierne l’aspetto dirompente e di riscoperta, valorizzandolo.

Torniamo al Carnevale romano: qual è il senso della sua riproposta?
Prima di tutto, è un ritorno che vuole dare nuova vita a una tradizione fortissima, perché legata al bisogno di libertà: un bisogno di ogni uomo, soddisfatto in questo caso attraverso la trasgressione tipica del periodo carnevalesco come dei Saturnali romani. Una tradizione nata spontaneamente, regolamentata dai Papi e scomparsa con l’avvento dei Savoia, anche per una sorta di “normalizzazione” del Paese: era troppo locale e non poteva essere generalizzata, così fu abbandonata.

Ma il cavallo?
Il cavallo è simbolo di libertà per antonomasia: strettissimo quindi il legame con una festa di liberazione come appunto è il Carnevale. Le corse di cavalli in dirittura c’erano prima del Carnevale, ed erano state importate dai crociati tornati a casa. Adottate dal Carnevale di Roma, ne diventano il culmine, proprio per il loro essere sfrenate, nel senso letterale di “senza freni”. Roma, poi, è una città ricchissima di cultura equestre: ho “censito” oltre cinquanta siti, in città, legati al cavallo: penso al celeberrimo Marc’Aurelio del Campidoglio o ai Dioscuri del Quirinale, ma anche al cavallo trovato in Vicolo della Palma e oggi ai Musei capitolini: forse una copia da Lisippo, forse parte di un gruppo di venticinque cavalli in grandezza naturale, di sicuro la testimonianza del forte legame della città con il cavallo: un motivo in più per riscoprire il Carnevale.