Festival di Roma


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Une vie meilleure

di Cédric Kahn, Francia 2011, drammatico (Wild Bunch)
Guillaume Canet, Leila Bekhti, Slimane Khettabi

Non c’è speranza per chi vive dentro il “sistema”, non c’è nessuna possibilità di una vita migliore. O forse sì, se si seguono altre strade.

Yann è un cuoco di francese di 35 anni in cerca di lavoro. In uno dei ristoranti a cui bussa, incontra Nadia, cameriera libanese di 28 anni. Come solo in certi film, si baciano e si innamorano in un attimo. Nadia vive col figlio Slimane, un bambino di nove anni che non ha mai conosciuto il padre. Sognano tutti un cambiamento, che sembra arrivare quando Yann scopre in mezzo a un bosco un casolare abbandonato: con le giuste modifiche e tanto lavoro può diventare il loro ristorante. Un sogno che però ha bisogno di soldi, tanti soldi. Comincia con prestito, poi un altro, poi il mutuo, i debiti, in poco tempo è la rovina. Yann non vuole arrendersi, chiede aiuto a tutti, ma Nadia capisce che non possono farcela e decide di accettare un lavoro in Canada. Per Yann è una tragedia, e inoltre Slimane dovrà rimanere con lui aspettando che la madre si sia sistemata. Ma la telefonata non arriva, Nadia scompare, e i due dovranno affrontare la miseria e la disperazione, fino all’unica, l’ultima, soluzione possibile.

Cédric Kahn (“La noia”, “Roberto Succo”, “Les regrets”) dice di aver voluto raccontare “la deriva di chi, perseguendo l’ideale proposto dalla cultura occidentale, finisce nell'inferno dei debiti, della povertà e viene sfruttato da un sistema senza scrupoli, un sistema che sfrutta la fragilità delle persone. E' questa la sua brutalità, e la banca è l'immagine del sistema”. Sottolineando però che “un film non può essere solamente una denuncia, un gesto politico, deve essere umano, cogliere aspetti emotivi”. Kahn ci racconta tutto questo con linearità neorealistica, “suggerendoci” anche che la ribellione e la liberazione dalla materialità passano naturalmente per i sentimenti e per il cuore, luogo rivoluzionario per eccellenza. Un film duro, che piacerà a molti anche, ma che non riesce completamente ad emozionare, nonostante gli applausi da riflesso condizionato verso il cinema francese. Sulla disperazione e la vita della working class, Ken Loach, per dirne uno, ha scritto pagine sicuramente più memorabili. (Sa.Sa.)