di Francesco Chyurlia
“Bisogna fare presto, gli speculatori non attendono”. Per Giuliano Segre, professore di Scienze delle Finanze alla Luiss, il fattore ‘tempo’ sarà determinante per far uscire l’Italia dalle spire della speculazione. Il rischio di perdere tempo, in questi casi, può avere un costo altissimo. Per i Paesi, come l’Italia, con un debito pubblico stratosferico, non agire con misure certe e tempestive può farlo cadere nella rete della speculazione. E passare dalla speculazione al ‘default’ il passo è breve.
L’economista Segre, a colloquio con Televideo, mostra di non avere dubbi sui rischi che corre il nostro Paese: “Servono misure certe e rigorose che traducano in fatti concreti gli intenti contenuti nella lettera inviata a Bruxelles”. Per Segre “può anche trattarsi di un’ondata speculativa di breve periodo, di prese di beneficio di un giorno o di una settimana. Ma i mercati sono cinici –spiega- e ai mercati servono certezze: servono date certe sul rientro del deficit, misure rigorose anche se graduali di assorbimento del debito e poi, azioni economiche credibili per l’Europa e per i mercati”. La lettera “può apparire come un progetto realizzabile, ma – sottolinea l’economista - gli speculatori non hanno voglia di attendere, per definizione. Vogliono operazioni di breve periodo”.
Quindi, qual è la via d’uscita, se c’è una via d’uscita? “C’è sempre una via d’uscita. Per uscire da questo cul de sac servono autorevolezza e credibilità. E la situazione di politica interna non aiuta di sicuro. Con tutte le beghe interne ai partiti di maggioranza e opposizione non si va lontano e si inquina la nostra credibilità sui mercati internazionali”. L’economista vede vincente “un’azione collettiva orientata ai temi finanziari”, così come ha più volte richiesto lo stesso Napolitano.
E dal punto di vista delle decisioni, ancorché dolorose, per reperire risorse è sempre necessario agire su salari e pensioni? “Non necessariamente –conclude Segre- potrebbe essere utile aumentare di un altro punto l’Iva. Sempre meno del 25% che mediamente si registra nell’Unione Europea”.