di Sandro Calice e Juana San Emeterio
Giornata quasi interamente dedicata agli eventi questa di lunedì. A Roma arriva Wim Wenders per presentare il film in 3D “Pina”, sulla vita della celebre coreografa Pina Bausch, mentre il tappeto rosso ospiterà anche la squadra di calcio della Roma che assisterà alla proiezione di “11 metri”, il documentario di Francesco Del Grosso su Agostino Di Bartolomei.
Il concorso propone l’horror “Babycall”, del norvegese Pål Sletaune, con Noomi Rapace, e il film drammatico “Magic Valley” di Jaffe Zinn. Ma occhio anche alla sezione Alice nella città, dov’è in programma la proiezione in anteprima di alcune sequenze di “Hugo Cabret”, l’ultimo lavoro di Martin Scorsese. Nella stessa sezione in serata “Butter” di Jim Field Smith. Non poteva mancare un evento legato ad Halloween: a notte fonda tutti a Lezione di horror da James Wan, autore della saga di “Saw”, con la proiezione di “Insidious”, il suo ultimo film.
Tra gli altri eventi, segnaliamo fuori concorso il film di Sabina Guzzanti su Franca Valeri (red carpet per le due attrici), dal titolo “Franca la prima”, e nell’ambito del Priimo Omaggio del Festival per il 150° Anniversario – Viaggio nell’identità italiana, la presentazione della copia restaurata del film “I cannibali”, di Liliana Cavani.
BABYCALL
di Pål Sletaune. Norvegia, Svezia, Germania 2011. Thriller (Nomad Film)
Noomi Rapace, Kristoffer Joner, Vetle Qvenild Werring.
L’amore per un figlio spinge ai limiti, dell’abnegazione, della dedizione, ma anche dell’ansia e della paura. Oltre quel limite c’è solo la fantasia, che può essere molto pericolosa.
Anna apre la porta della sua nuova casa in un enorme caseggiato alla periferia di Oslo con diffidenza e paura. Ha portato lì di nascosto suo figlio Anders di 8 anni per sottrarlo a un padre violento e pericoloso. I funzionari dei servizi sociali le dicono che è al sicuro, che nessuno li troverà, che devono avere una vita normale. Ma Anna non vorrebbe nemmeno mandarlo a scuola Anders, e lo fa dormire ogni notte nel lettone con lei. Finchè non decide di comprare un babycall per vegliare su di lui a distanza. L’apparecchio però comincia a emettere strani suoni: niente di strano, gli dice il commesso del negozio, avrà intercettato la frequenza di un altro babycall nelle vicinanze. Solo che Anna sente urla, litigi, botte e si convince che c’è un bambino in pericolo. E accadono cose: lo strano amichetto di Anders, inquietanti disegni, un bosco misterioso. Anna ha un’unica certezza: nessun mostro farà del male al suo bambino.
Pål Sletaune (“Junk mail”, premio della critica a Cannes 1997) torna al thriller psicologico dopo l’apprezzato “Next door” (2005) presentato alle Giornate degli Autori a Venezia. Le atmosfere, le ambientazioni e anche le interpretazioni sono quelle rarefatte e di per sé “spaventose” dei paesi del Nord, che avevamo recentemente sperimentato nello splendido e pluri-rifatto “Lasciami entrare” di Tomas Alfredson (scommettiamo che a “Babycall” toccherà uguale sorte). Ma la qualità è inferiore. Siamo nel filone paranormale di cui “Il sesto senso” è moderno capostipite, nel gioco sottile tra realtà e immaginazione, ma come in altri film visti a questo Festival (su tutti “La femme du cinquième”) i nodi intrecciati anche abbastanza bene all’inizio vengono tagliati di netto e in fretta invece che sciolti con sapienza nel finale. (Sa.Sa.)MAGIC VALLEY
di Jaffe Zinn, Stati Uniti 2011, drammatico (Rezo)
Scott Glenn, Kyle Gallner, Alison Elliot, Matthew Gray Gubler, Brad William Henke, Will Estes.
Si può morire di noia nella provincia Americana. Letteralmente.
A Buhl, la “capitale delle trote”, nell’Idaho, è un giorno come tanti. Due bambini si travestono da capo indiano e da Superman ed escono a giocare nei campi. TJ si sveglia malinconico e pensieroso, prende il suo skateboard e si lascia andare verso il centro commerciale. Un allevatore di salmoni trova i suoi pesci quasi tutti morti, per colpa di un contadino che ha deviato l’acqua del fiume. Il vecchio sceriffo decide che andrà in perlustrazione con il giovane vicesceriffo, e magari ne approfitterà per acquistare quel fieno che gli serve o per sparare ai fagiani, la sua vera passione. Una donna porta il cane dal veterinario, ma al ritorno si accorge che sua figlia Susan non è né a scuola né in casa. Già, che fine ha fatto Susan? L’indiano e Superman trovano qualcosa vicino al ruscello. Non sono spaventati, in fondo è solo un altro gioco, ma tutte queste vite stanno per incontrarsi su quel ruscello.
Jaffe Zinn con uno sguardo lucido, quasi impersonale, accende la cinepresa su quella stessa America che Gus Van Sant e soprattutto Cormac McCarthy (ai quali Zinn deve parecchie suggestioni) ci hanno raccontato nella sua feroce banalità quotidiana, quel vuoto di emozioni non per cattiveria ma per mala educazione sentimentale, quella depressione inconscia per un futuro senza sorprese e un presente mortalmente annoiato. Lo fa con una storia che si svolge quasi in tempo reale, mostrandoci persone incapaci di comprendere perfino che sta accadendo qualcosa che cambierà la loro vita, mettendo inesorabilmente al loro posto tasselli che isolatamente sembrano “normali”. Il rischio però è che l’apparente mancanza di artifici narrativi alla fine lasci lo spettatore “gelido” come la storia che ha visto. (Sa.Sa.)