L'impegno italiano in Afghanistan


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‘Lavoriamo per la transizione’

Parla il comandante della Sassari, Luciano Portolano portolano_sassari_296

di Nello Rega

Con una superficie grande come il Nord Italia, è la regione Ovest dell’Afghanistan l’avamposto italiano per la pace in terra afghana. Un impegno che dura da anni e che negli ultimi mesi si appresta ad essere quello decisivo per il trasferimento dei poteri alle forze di sicurezza della Repubblica islamica di Afghanistan.

Dalla fine di settembre, in sostituzione della Folgore, gli oltre 4 mila militari italiani sono al comando del generale Luciano Portolano, comandante della Brigata Sassari. In quattro settimane di attività, coordinata da Camp Arena di Herat, Portolano ha “incassato” risultati di tutto rispetto. Nel campo della sicurezza sono state effettuate molte operazioni per il controllo del territorio, nel quale sono impegnati anche altri 4 mila soldati di altri Stati che aderiscono alla missione Nato. Per non parlare delle attività a sostegno della popolazione. La Brigata Sassari ha avviato numerosi progetti: costruzione di pozzi, canali di irrigazione, scuole, uffici pubblici, fognature. E, attendendo l’inverno durante il quale i talebani, o gli insorgenti secondo il gergo di Isaf, “affilano le armi” e studiano nuove strategie di attentati terroristici, i militari italiani affinano invece le tecniche di controllo del territorio e di “penetrazione” tra la popolazione.

“L'Afghanistan resta un teatro difficile dove non si può escludere nulla. Siamo impegnati giorno dopo giorno ad assicurare il prossimo passaggio di competenza alle autorità locali, così come la sicurezza”. Il generale Portolano, comandante esperto di missioni operative e con un passato in Iran, Iraq, Kuwait, Macedonia, Kosovo, solo per citarne alcune, sa perfettamente che da questi parti il pericolo è sempre in agguato. Non è un modo di dire ma l’amara constatazione di un territorio difficile da comprendere e, ancor di più, da poter completamente controllare e rendere sicuro al 100%. Chi pensava che con la morte di Osama bin Laden sarebbe cambiato qualcosa, resta sicuramente deluso. “L’aria che si respira è sempre più densa di voglia di poter rendere sicuro l’Afghanistan. Vedo ogni giorno la popolazione che ha voglia di stabilità e di normalità. In questo sono confortato anche dai dati sulla nostra attività fino ad oggi svolta. Il bilancio è più che positivo. Stiamo gestendo la transizione dalla missione Isaf al governo di Kabul e i risultati sono più che evidenti. Così come i progetti di ricostruzione che, dalla carta, sono passati alla realtà. Quello più evidente è il terminal dell’aeroporto di Herat. Uno scalo già funzionante sia per voli militari che quelli civili. Qui stiamo costruendo lo scalo per i voli nazionali e lo scalo per i voli internazionali nonché il piu’ grande hub afghano per scalo merci (cargo), parcheggi, una bretella ci collegamento con le arterie principali, infrastrutture per far diventare questo posto più simile alla normalità, per cancellare le ferite di anni di violenze e terrorismo”.

I segni dell’attività dei talebani sono ancora presenti nello sguardo dei militari italiani impegnati ad Herat. I quasi 4.200 soldati della Sassari con i suoi reggimenti, 151,152,3° Bersaglieri, 5° Genio, con i quali lavorano i colleghi del reggimento Aeromobile, reggimento San Marco della Marina Militare,gli elicotteri dell’Esercito e della Marina Militare, gli aerei dell’Aeronautica Militare sanno perfettamente che concentrazione e preparazione devono sempre essere al massimo. Così come l’attenzione agli usi e costumi degli afghani.

“Resto ogni giorno sorpreso e soddisfatto per la determinazione dei nostri militari. Non mi riferisco solo agli italiani ma anche agli altri 4 mila stranieri che lavorano nel Comando regionale Ovest. C’è un rispetto massimo per la cultura e la religione del posto e una capacità grandissima di interazione con gli afghani. Da comandante questa è un orgoglio senza precedenti”. Ma per chi è stato a capo della missione in Iraq e ora di quella in Afghanistan è facile fare un paragone tra le due realtà? “Sono posti totalmente diversi. L’ambiente, le strategie politiche, gli assetti militari. Dalla mia ho la possibilità di fare tesoro delle esperienze vissute nell’operazione Antica Babilonia a Nassirya e metterle in pratica qui. L’esperienza mi aiuta a vedere meglio le strategie e trovare le soluzione più idonee. Per il resto è un altro teatro”.

Cosa si attende per i prossimi 5 mesi di missione ad Herat il generale Portolano? “Lavoro, lavoro, lavoro. Il tutto per consentire agli afghani di vivere in Paese più sicuro e più normale senza dover fare i conti tutti i giorni con i terroristi che si fanno saltare in aria e che con barbarie e violenza diffondono il terrore passando sul cadavere dei civili”.

In questo quadro di attività militare resta comunque importante il ruolo della comunicazione. Lo sanno bene i talebani e i terroristi di Al Qaeda che, forti di una rete di siti internet “amici” e tv “simpatizzanti” cercano di far breccia sulla popolazione. Anche in questo caso “comunicare” la pace e le iniziative umanitarie svolte è fondamentale. Lo sa bene il portavoce del contingente italiano a Herat, colonnello Vincenzo Lauro. “Non facciamo altro che raccontare la realtà. Quello che facciamo. Parliamo con la gente, con gli organi di comunicazione locale. E i segnali che riceviamo sono più che confortanti. Continueremo così perché il nostro impegno è visibile a tutti e porta vantaggio agli afghani. E la popolazione ha sempre più voglia di tornare alla normalità. Lo facciamo nello spirito dell’Italia e della Brigata Sassari, insieme ad un’alleanza di Paesi amici, come la Spagna che ci ricorda le antiche origini dei “sassarini” eredi delle tradizioni del Tercio de Cerdena del periodo aragonese-spagnolo e del Reggimento di Sardegna, con quasi un secolo di storia, di impegno e di riconoscimenti”.