Festival di Roma


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La Puglia di Mezzapesa

Un Totò ritrovato in tre dimensioni spose_infelici_296

di Sandro Calice e Juana San Emeterio

Pippo Mezzapesa con “Il paese delle spose infelici” è il secondo italiano in gara per il Marc’Aurelio al Festival del Film di Roma. In concorso oggi anche “Une vie meilleur” di Cédric Kahn e “Hotel Lux” del tedesco di Leander Haussman. Una storia di formazione, una dura denuncia della società odierna e una commedia ambientata ai tempi del nazismo.

Fuori concorso "Totò 3D- Il più comico spettacolo del mondo", un film di MarioMattoli, scritto tra gli altri da Mario Monicelli e Ruggero Maccari, realizzato nel '53 e restaurato da Aurelio De Laurentiis.Alla proiezione Liliana De Curtis, la figlia di Totò ha commentato: ''Mi sembrava mi venisse addosso, quasi lo toccavo, mi sono commossa''. E l'effetto di rivedere sullo schermo lo straordinario comico è davvero emozionante. Il restauro è stato fatto dagli espertissimi tecnici di Cinecittà Digital Factory. Il produttore Aurelio De Laurentiis ha annunciato il restauro di molte pellicole come ad esempio 'Un borghese piccolo piccolo'. Questo film in particolare nel 1953 era stato girato in 3d ma era molto danneggiato. La pellicola venne realizzata con un sistema per la ripresa tridimensionale brevettato da Carlo Ponti e Dino De Lautentiis denominato Podelvision (dalle iniziali dei loro cognomi) che prevedeva l'uso contemporaneo di più camere da presa e successivamente la stampa di due copie pellicole identiche: una per l'occhio destro e una per l'occhio sinistro. I tecnici hanno dovuto fare molto lavoro manuale per poi poter eseguire il restauro digitale. Il film non ha, per ora, una data di uscita ma il produttore ha preso l'impegno per cercare di riportarlo nelle sale.

Evento speciale della giornata una lezione di cinema con il regista statunitense Michael Mann. In concorso nella sezione “Alice nella Città” “Foster” di Jonathan Newman, mentre tra gli altri film da segnalare “Like crazy” di Drake Doremus, premiato come miglior film al Sundance Film Festival.

IL PAESE DELLE SPOSE INFELICI

di Pippo Mezzapesa, Italia 2011 (Fandango)
Nicolas Orzella, Luca Schipani, Cosimo Villani, Vincenzo Leggieri, Gennaro Albano, Aylin Prandi, Antonio Gerardi.

Non è cambiato poi tanto, in fondo. Pippo Mezzapesa, al suo primo lungometraggio, tratto dall’omonimo romanzo di Mario Desiati, ci racconta la storia di un gruppo di adolescenti nella provincia di Taranto degli anni ’90.

Veleno ha 15 anni ed è diverso dai suoi compagni, ragazzi di strada e di provincia, con quel senso feroce dell’amicizia che solo il paese conosce. Deve sottoporsi a una specia di iniziazione, ma poi lo accettano subito: Cimasa, Capodiferro, Natuccio, e soprattutto Zazà, il leader, quello bravo a giocare a pallone. Già, perché lì come ovunque nella provincia, come anche oggi, il calcio è il metro di giudizio, il campo in cui si misurano valori e destini. E Zazà non può rimanere in quel campetto, l’allenatore vede nel ragazzo anche un suo riscatto personale e gli organizza un provino a Bari, da lì a Torino, alle giovanili della Juventus, il sogno è breve. Poi però arriva la madonna. Non quella vera, ma Annalisa, una ragazza di una bellezza che fa male, che ha perso sposo e senno e che vive da sola, rubando emozioni e regalando sesso. Una madonna, appunto, per i ragazzi, soprattutto per Veleno e Zazà, che dal momento in cui la vedono non “capiranno” più nulla.

Sul campo di pallone “ci si sporca di vita, ed è un’espressione che riguarda anche me”, dice Mezzapesa, all’attivo diversi documentari, tra cui “Come a Cassano”, menzione speciale ai Nastri d'Argento 2006. “E’ una storia italiana, non solo pugliese - spiega - ambientata nel decennio amorfo degli anni '90, in un periodo in cui è cambiato molto in Italia, dal populismo alla violenza del linguaggio che entra in politica, per finire con la televisione che entra con prepotenza nelle case”. Con uno stile essenziale, e diremmo con la mano del documentarista, Mezzapesa fotografa bene questa realtà, riuscendo a tratti anche a emozionarci, ma mostrando qualche limite nella costruzione del racconto, nella parte “romanzata”. Un esordio comunque promettente. 
(Sa.Sa.)

UNE VIE MEILLEURE

di Cédric Kahn, Francia 2011, drammatico (Wild Bunch)
Guillaume Canet, Leila Bekhti, Slimane Khettabi


Non c’è speranza per chi vive dentro il “sistema”, non c’è nessuna possibilità di una vita migliore. O forse sì, se si seguono altre strade.

Yann è un cuoco di francese di 35 anni in cerca di lavoro. In uno dei ristoranti a cui bussa, incontra Nadia, cameriera libanese di 28 anni. Come solo in certi film, si baciano e si innamorano in un attimo. Nadia vive col figlio Slimane, un bambino di nove anni che non ha mai conosciuto il padre. Sognano tutti un cambiamento, che sembra arrivare quando Yann scopre in mezzo a un bosco un casolare abbandonato: con le giuste modifiche e tanto lavoro può diventare il loro ristorante. Un sogno che però ha bisogno di soldi, tanti soldi. Comincia con prestito, poi un altro, poi il mutuo, i debiti, in poco tempo è la rovina. Yann non vuole arrendersi, chiede aiuto a tutti, ma Nadia capisce che non possono farcela e decide di accettare un lavoro in Canada. Per Yann è una tragedia, e inoltre Slimane dovrà rimanere con lui aspettando che la madre si sia sistemata. Ma la telefonata non arriva, Nadia scompare, e i due dovranno affrontare la miseria e la disperazione, fino all’unica, l’ultima, soluzione possibile.

Cédric Kahn (“La noia”, “Roberto Succo”, “Les regrets”) dice di aver voluto raccontare “la deriva di chi, perseguendo l’ideale proposto dalla cultura occidentale, finisce nell'inferno dei debiti, della povertà e viene sfruttato da un sistema senza scrupoli, un sistema che sfrutta la fragilità delle persone. E' questa la sua brutalità, e la banca è l'immagine del sistema”. Sottolineando però che “un film non può essere solamente una denuncia, un gesto politico, deve essere umano, cogliere aspetti emotivi”. Kahn ci racconta tutto questo con linearità neorealistica, “suggerendoci” anche che la ribellione e la liberazione dalla materialità passano naturalmente per i sentimenti e per il cuore, luogo rivoluzionario per eccellenza. Un film duro, che piacerà a molti anche, ma che non riesce completamente ad emozionare, nonostante gli applausi da riflesso condizionato verso il cinema francese. Sulla disperazione e la vita della working class, Ken Loach, per dirne uno, ha scritto pagine sicuramente più memorabili. (Sa.Sa.)



LIKE CRAZY

di Drake Doremus, Usa 2011
Anton Yelchin, Felicity Jones, Jennifer Lawrence.

L’incontro all’università di due giovani, l’amore, la lontananza e tutti i problemi per poter vivere la loro storia con i momenti buoni e quelli difficili e più scomodi. Distacchi e riavvicinamenti come avviene spesso nella realtà.

I protagonisti sono Anna (Felicity Jones), aspirante giornalista esuberante ed indipendente e Jacob (Anton Yelchin), studente di design, timido e sensibile. I due ragazzi si conoscono e si innamorano mentre frequentano l'università a Los Angeles, ma Anna è inglese e finiti gli studi torna a Londra.  L’amore però è più forte e decide di tornare negli Stati Uniti anche se le è scaduto il visto. Questa avventatezza le costa la possibilità di rientrare a Los Angeles e inizia una battaglia con la burocrazia per riavere il visto. Nell’attesa i due ragazzi vivono un periodo di distacco, iniziano a lavorare e hanno anche altre relazioni.

“Like Crazy”, il film di Drake Doremus, dopo aver vinto il gran premio della giuria come miglior film e il riconoscimento per la migliore attrice (a Felicity Jones) al Sundance Film Festival, debutta al Festival di Roma fuori concorso. “L' idea per questo film, ha detto il giovane regista Doremus (28 anni),è nata dalle mie esperienze personali, volevo in qualche modo riflettere su cose che mi erano successe” e aggiunge ''è la storia di due persone che cercano di tornare in un posto, ma non ci riescono''. E i due attori sono molto bravi a creare la giusta alchimia nel trovarsi e perdersi. Il film senza eccessi romantici racconta con delicatezza entusiasmi, paure e dolori dei due giovani, sicuramente un esordio promettente.
(J.S.E.)


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