di Sandro CaliceLE AVVENTURE DI TINTIN – IL SEGRETO DELL’UNICORNO
di Steven Spielberg. Belgio, Nuova Zelanda, Usa 2011. Animazione (Warner Bros.)
Jamie Bell, Andy Serkis, Daniel Craig, Simon Pegg, Nick Frost, Gad Elmaleh, Tony Curran, Mackenzie Crook, Toby Jones, Daniel Mays, Sebastian Roché, Sonje Fortag, Kim Stengel, Joe Starr, Enn Reitel.
Spettacolare. Spielberg sembra essersi divertito molto a fare questo film, con un personaggio che nelle sue mani finisce giocoforza per somigliare a Indiana Jones. Un divertimento che potrebbe contagiare anche gli spettatori.
Tintin (Bell) è un giovane reporter belga che vive col suo cane Milou. Curiosando tra i banchi di un mercatino scopre e acquista un modellino dell’Unicorno, un antico e leggendario galeone. Da subito viene avvicinato da misteriosi personaggi, tra cui l’infido Sakharine (Craig), che cominciano a fargli offerte folli per avere quell’oggetto, avvertendolo che la sua vita sarà in pericolo se non se ne libererà al più presto. Quale segreto nasconde la storia dell’Unicorno? Tintin ha appena il tempo di intuirlo che si vede catapultato in una folle sfida con i suoi nemici, aiutato da Milou, dal burbero Capitan Haddock (Serkis) e dagli improbabili detectives Thomson e Thompson (Pegg e Frost), una corsa dall’oceano ai deserti africani per arrivare all’Unicorno, e scoprire se sarà una fortuna o una maledizione.
Era probabilmente destino che Steven Spielberg ed Hergé (pseudonimo, invertendo le iniziali del nome, di Georges Remi) si incontrassero. Uno dei più grandi fabbricatori di miti moderni in celluloide e un illustratore di culto (1929-1983), autore di un fumetto che ha venduto oltre 250 milioni di copie in tutto il mondo ed è stato tradotto in quasi 100 lingue; un artista il cui tratto ha influenzato anche Andy Warhol e Roy Lichtenstein. Pare che il papà di Tintin fosse convinto che Spielberg fosse l’unico regista in grado di portare il suo personaggio sul grande schermo. Spielberg ci ha messo tutta la sua potenza di fuoco, dalla creatività all’aspetto industriale, utilizzando al meglio la tecnica della performance capture (il computer che grazie a sensori e telecamere “traduce” in digitale movimenti e recitazione di attori reali). E l’effetto si vede, sia nell’espressività dei personaggi, dietro i quali si indovina il viso dell’interprete, sia nelle incredibili scene d’azione, dove appunto aleggia l’ombra di Indiana Jones, dai carrelli nella miniera in giù. Con riprese e soluzioni di montaggio, però, che mettono l’anima del regista dentro la macchina virtuale. Tutto perfetto, ma quasi troppo, a volerla dire tutta. Sarà il 3D “faticoso” da sostenere per due ore, sarà il personaggio troppo in bilico (come appeal) tra adolescenti e adulti, sarà lo spettacolo visivo che coinvolge più della trama, si arriva alla fine divertiti ma con qualche stanchezza.