Festival di Roma


Stampa

Tra fumetti e realtà

Tin Tin e un’inedita Claudia Gerini

di Sandro Calice e Juana San Emeterio

Comincia la competizione vera e propria. Il primo film in gara per il Premio Marc’Aurelio è “Il mio domani” di Marina Spada, con una Claudia Gerini formatrice aziendale milanese che rimette in discussione tutta la sua vita. Sempre in gara “Hysteria” di Tanya Wexler, come dicono gli autori, storia vera e commedia romantica sulla creazione del vibratore nella Londra vittoriana del 1880. In concorso infine il coreano “Poongsan” di Juhn Jaihong, con la sceneggiatura del celebre Kim Ki-duk, una storia di sogni, passione e politica tra le due Coree.

L’evento della giornata, però,è l’ultimo lavoro di Steven Spielberg, il film in 3D tratto dai fumetti di Hergé “Le avventure di Tintin – il segreto dell’Unicorno”. Prodotto da Peter Jackson, racconta la storia del giovane reporter alle prese con lo sconcertante mistero legato al modellino di una nave. Girato con la tecnica della motion capture, già usata in “Avatar”, promette grande divertimento.

Nelle altre sezioni, “La brindille” di Emmanuelle Millet (Alice nella Città, in concorso) e “Dragonslayer” di Tristan Patterson (L’Altro cinema Extra, in concorso).

Buon esordio per “Il mio domani”, primo dei quattro italiani in concorso, prodotto anche da Rai Cinema. Un film che racconta con uno sguardo freddo il quotidiano di Monica, donna sola, che lavora ma è insoddisfatta della sua vita. Nel ruolo della manager un’insolita Claudia Gerini che spiega “desideravo tantissimo fare questa donna coi suoi dolori e le sue speranze, una donna coraggiosa che fa scelte forti e finalmente un ruolo drammatico da protagonista in un film d'autore''. Nel film. Monica (Gerini) scopre sempre giorno dopo giorno di avere qualcosa che non va. Tutto esplode quando il padre che vive in campagna (Raffaele Pisu), muore e lei scopre che il suo lavoro non è esattamente quello che pensa che sia. ''Il mio personaggio – afferma l'attrice in conferenza stampa - è una donna che più che soffrire è repressa. Comunque mi sono ritrovata a fare scene mai fatte prima, come quando dopo una scena di sesso ho interpretato un silenzio, un mutismo raggelato, dove c'era un dolore che non si poteva esprimere''.

All'Auditorium il ritorno sulle scene cinematografiche della mitica Sandy di Grease,Olivia Newton John. L'attrice interpreta una suocera pazzerellona che si fa di cocaina per 'liberarsi' e ballare al pazzo matrimonio della figlia. Tante risate al Festival per questo film australiano presentato fuori concorso
"A few best men" di Stephan Elliot, regista di "Priscilla,la regina del deserto". La pellicola, sottotitolata "Tre uomini unapecora" è una commedia demenziale e surreale, piena di gag con un cast ottimo. "E' qualcosa di folle questo film, ha detto Olivia Newton John, e mi piaceva cambiare, quindi ho colto l'occasione di Stephan Elliott".

Omaggio all'Africa e alle donne africane, le liberiane Sirleaf e Gbowee e la yemenita Karman, che hanno appena ricecevuto il premio Nobel per la pace.
Danze africane sul red carpet tra suoni e percussioni accompagnano African Women - in viaggio per il Nobel della Pace di Stefano Scialotti. Il documentario, realizzato con il patrocinio morale del Consiglio regionale del Lazio, è a sostegno della campagna NOPPAW (Nobel Peace Prize for African Women). E' un road movie che parte dal World Social Forum di Dakar 2011 e attraversa il Senegal alla ricerca delle motivazioni di questa candidatura collettiva.

 

LE AVVENTURE DI TINTIN – IL SEGRETO DELL’UNICORNO

di Steven Spielberg. Belgio, Nuova Zelanda, Usa 2011. Animazione (Warner Bros.)
Jamie Bell, Andy Serkis, Daniel Craig, Simon Pegg, Nick Frost, Gad Elmaleh, Tony Curran, Mackenzie Crook, Toby Jones, Daniel Mays, Sebastian Roché, Sonje Fortag, Kim Stengel, Joe Starr, Enn Reitel.

Spettacolare. Spielberg sembra essersi divertito molto a fare questo film, con un personaggio che nelle sue mani finisce giocoforza per somigliare a Indiana Jones. Un divertimento che potrebbe contagiare anche gli spettatori.

Tintin (Bell) è un giovane reporter belga che vive col suo cane Milou. Curiosando tra i banchi di un mercatino scopre e acquista un modellino dell’Unicorno, un antico e leggendario galeone. Da subito viene avvicinato da misteriosi personaggi, tra cui l’infido Sakharine (Craig), che cominciano a fargli offerte folli per avere quell’oggetto, avvertendolo che la sua vita sarà in pericolo se non se ne libererà al più presto. Quale segreto nasconde la storia dell’Unicorno? Tintin ha appena il tempo di intuirlo che si vede catapultato in una folle sfida con i suoi nemici, aiutato da Milou, dal burbero Capitan Haddock (Serkis) e dagli improbabili detectives Thomson e Thompson (Pegg e Frost), una corsa dall’oceano ai deserti africani per arrivare all’Unicorno, e scoprire se sarà una fortuna o una maledizione.

Era probabilmente destino che Steven Spielberg ed Hergé (pseudonimo, invertendo le iniziali del nome, di Georges Remi) si incontrassero. Uno dei più grandi fabbricatori di miti moderni in celluloide e un illustratore di culto (1929-1983), autore di un fumetto che ha venduto oltre 250 milioni di copie in tutto il mondo ed è stato tradotto in quasi 100 lingue; un artista il cui tratto ha influenzato anche Andy Warhol e Roy Lichtenstein. Pare che il papà di Tintin fosse convinto che Spielberg fosse l’unico regista in grado di portare il suo personaggio sul grande schermo. Spielberg ci ha messo tutta la sua potenza di fuoco, dalla creatività all’aspetto industriale, utilizzando al meglio la tecnica della performance capture (il computer che grazie a sensori e telecamere “traduce” in digitale movimenti e recitazione di attori reali). E l’effetto si vede, sia nell’espressività dei personaggi, dietro i quali si indovina il viso dell’interprete, sia nelle incredibili scene d’azione, dove appunto aleggia l’ombra di Indiana Jones, dai carrelli nella miniera in giù. Con riprese e soluzioni di montaggio, però, che mettono l’anima del regista dentro la macchina virtuale. Tutto perfetto, ma quasi troppo, a volerla dire tutta. Sarà il 3D “faticoso” da sostenere per due ore, sarà il personaggio troppo in bilico (come appeal) tra adolescenti e adulti, sarà lo spettacolo visivo che coinvolge più della trama, si arriva alla fine divertiti ma con qualche stanchezza. (Sa.Sa.)

HYSTERIA

di Tanya Wexler. Regno Unito, Lussemburgo 2010. Commedia (Bim)
Hugh Dancy, Maggie Gyllenhaal, Rupert Everett, Jonathan Pryce, Felicity Jones
.

Delizioso. Anche perché tutti siamo convinti di aver incontrato donne isteriche almeno una volta nella vita. Ecco, questo film, tra le altre cose, ci dice che in realtà non sono mai esistite.

Il dottor Mortimer Granville è un giovane medico nella Londra vittoriana del 1880. Colto e brillante, viene licenziato dall’ospedale in cui lavora per la sua fiducia nelle nuove, “rivoluzionarie”, teorie mediche sui germi. Troppo orgoglioso per accettare ancora l’aiuto economico del suo amico Edmund St. John-Smythe, ricco ereditiero e inventore appassionato dalla scienza dell’elettricità, si mette in cerca di un nuovo impiego. Lo troverà inaspettatamente nello studio del dottor Dalrymple, “il maggior specialista londinese di medicina femminile”. Dalrymple è un esperto di “isteria”, una vera piaga secondo lui, con sintomi come “melanconia, ansia, pianto, ninfomania”, ed ha lo studio sempre pieno. Il suo miracoloso massaggio manuale, infatti, pare sia una cura infallibile. Mortimer viene preso come assistente, entra in casa di Dalrymple e conosce le sue due figlie, la compita, perfetta e bellissima Emily e la ribelle, idealista e appassionata Charlotte. Si innamorerà della prima, forse. Ma ben più importante, dopo alcune vicissitudini, scoprirà che un marchingegno per spolverare inventato dal suo amico Edmund potrebbe essere usato per “curare”, come mai prima di allora, l’isteria delle donne.

Pare che l’idea che uno “spostamento dell’utero” (hysteria in greco) potesse causare sintomi come amnesia e sonnambulismo risalga ad alcuni scritti ippocratici della Grecia antica. Da allora e per 4.000 anni, passando per “cure” come le sanguisughe, le cavalcate ma anche la “manipolazione digitale”, per Freud che lo identifica come disturbo psichico, fino al 1952 quando l’Istituto psichiatrico americano lo esclude dall’elenco dei disturbi mentali, questa finta malattia ha continuato a perseguitare le donne cercando sempre di tenere il discorso rigorosamente lontano dall’unico ambito veramente dirimente: quello sessuale. Questo film, che è basato su una storia vera, racconta con intelligenza e ironia l’invenzione del vibratore, lo strumento che sarebbe poi stato utilizzato dalle donne come simbolo di liberazione sessuale. Un tabù ancora oggi, se ci pensiamo bene, ma che diventa esplosivo in un contesto come quello dell’Inghilterra vittoriana, un’epoca “contraddittoria”, di rigida formalità e grandi cambiamenti, scientifici e culturali. Tanya Wexler (“Finding North”) sfrutta nel migliore dei modi questo contrasto, con effetti comici irresistibili, senza banalità o facili volgarità. Una delle migliori commedie degli ultimi tempi. (Sa.Sa.)

> TUTTI GLI ARTICOLI DAL FESTIVAL