Una comunità molto unita


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Italiani a Toronto

Parla un imprenditore, figlio di immigrati italiani_toronto_296

Toronto è una specie di colonia d’Italia d’Oltremare. Oltre 600.000 connazionali di prima, seconda e terza generazione vivono nella città canadese, costituiscono la comunità etnica più numerosa, che però non si è auto ghettizzata in una Little Italy, dove riprodurre modi e stili di vita originari. Bruno Colozza, figlio di immigrati italiani gestisce tre bar, un’attività faticosa, ma che gli sta dando molte soddisfazioni. “Mio padre è molisano, mia madre ciociara – ci racconta – sono arrivati qui nel 1962. papà ha fatto il carpentiere, il panificatore, e il falegname. Poi si è messo in proprio, creando una piccola impresa di forniture di legnami per l’arredamento. Io ho lavorato con lui, poi nel 2004 ho aperto il primo bar (“B bar”) e adesso ne ho tre (nella lobby del Bond Place Hotel, nel Queen Richmond Centre e nel Royal Conservatory of Music, ndr).

”La comunità italiana è molto unita”
Che tipo di rapporti ci sono all’interno della comunità italiana?
“Buoni, è una comunità molto unita, molto solidale”.

Siete discriminati dai canadesi doc?
“No, assolutamente. Ormai il 51% degli abitanti di Toronto appartiene a minoranze etniche, quindi la maggioranza della popolazione è di fatto immigrata, anche se la seconda e la terza generazione sono nate qui”.

Si trasferirebbe in Italia?
“No, qui si vive bene, anche se si lavora tanto e la città è cara (a noi è sembrata economica!, ndr).

Quant’è il reddito medio pro-capite?
“Intorno ai 60.000 dollari (circa 42.000 euro, ndr).

I suoi baristi quanto guadagnano?
“Da 11 a 13 dollari l’ora”.

In regola o in nero?
“Assolutamente in regola. Qui i controlli sono frequenti e le pene severe. Non conviene sgarrare”.

Lei si considera italiano o canadese?
“Italiano, anche se sono nato qui”.

E’ difficile lavorare in Canada per uno straniero?
“Abbastanza. L’immigrazione è molto controllata. Con il permesso da turista si può stare 6 mesi, poi serve il “work permit”. Per ottenerlo bisogna raggiungere un punteggio, che tiene conto di svariati fattori”.

Il socio di Bruno Colozza è Paolo Violante, un ingegnere chimico di origine abruzzese che, stanco di viaggiare per il mondo per la sua azienda, si è avventurato con il suo compatriota nell’attività privata. Ha tre figli, Violante, “ma non parlano italiano”, dice con rammarico.

M. I.