Dal Rapporto 2008 emerge un quadro molto pessimistico. Amnesty si augura un cambio di rotta necessario. Ha anche pensato di elaborare nuove strategie nella lotta per i diritti umani?
“La strategia è sempre la stessa: spingere i governi a rimediare a 60 anni di promesse tradite, convincendoli a investire sul rispetto dei diritti umani in casa e nelle relazioni internazionali. Un mondo in cui la tutela dei diritti umani viene progressivamente erosa, nel quale le crisi umanitarie non vengono affrontate è un mondo insicuro e pericoloso per tutti. La Dichiarazione universale dei diritti umani, ancora oggi, per miliardi di persone intrappolate in un ciclo di povertà, ingiustizia, discriminazione e violenza, vale meno del pezzo di carta su cui il 10 dicembre, 1948 venne redatta”.
Tornando al rapporto, emergono due speranze: quella che nasce intorno al nuovo presidente americano, Barack Obama, e la spinta dal basso dei movimenti e delle associazioni. Come si inserisce il lavoro di Amnesty in queste sfide?
“Al presidente eletto Obama chiediamo nei prossimi 100 giorni di mandato, di chiudere Guantanamo e porre fine alle politiche e alle pratiche abusive – la tortura in primo luogo – che hanno contraddistinto finora la “guerra al terrore”. I movimenti per i diritti umani sono una delle più belle realtà di questi tempi: quotidianamente difendiamo e sosteniamo le campagne per la democrazia in Iran e Myanmar, le associazioni che lottano contro la violenza sulle donne in Messico e quelle donne e quegli uomini che in Paesi pericolosi come Cina, Cuba, Colombia e Afghanistan, mostrano ogni giorno un coraggio e una determinazione straordinari”.
Non emerge un quadro roseo nemmeno per quanto riguarda l’Italia. Quali sono le priorità e le battaglie più urgenti?
“Occorre invertire una tendenza preoccupante, che vede nel nostro Paese una progressiva erosione dei diritti umani, a cominciare da coloro che già in partenza sono vulnerabili: migranti, richiedenti asilo, cittadini stranieri, minoranze etniche, rom. L’Italia avrebbe potuto celebrare il sessantesimo anniversario della Dichiarazione universale dei Diritti umani in modo migliore, ad esempio introducendo (e deve farlo da 20 anni) il reato di tortura nel codice penale. Quest’anno abbiamo assistito a due sentenze di primo grado, sui fatti di Genova del luglio 2001, complessivamente deludenti, segno anche dell’assenza della volontà di collaborare alla ricerca della verità e della giustizia".
L. M.