Cristina Kirchner verso il secondo mandato


Stampa

Il ‘cristinismo’ conquista l’Argentina

Domenica le elezioni presidenziali cristina_kirchner_296

di Rodolfo Fellini
r.fellini@rai.it

I sondaggi sono unanimi: Cristina Fernandez de Kirchner resterà alla guida dell’Argentina per altri 4 anni, e quasi certamente potrà cantare vittoria già domenica sera. Il sistema elettorale è tale che l’elezione al primo turno può avvenire anche solo con il 40% dei voti, purché il candidato che arriva primo abbia un vantaggio di almeno 10 punti percentuali rispetto a quello che giunge secondo. In ogni caso, si vince al primo turno con il 45% delle preferenze, e non con il 50% come prevedono gran parte delle democrazie occidentali.

La candidatura di Cristina non era affatto scontata fino al 27 ottobre dello scorso anno, quando all’improvviso scomparve suo marito, l’ex presidente Néstor Kirchner. In base a un accordo tra i due coniugi, Kirchner sarebbe dovuto tornare in sella dopo i 4 anni di mandato di Cristina, in virtù della sua immensa popolarità. Néstor Kirchner, che governò dal 2003 al 2007, ereditò un Paese in forte recessione, dove il 54% della popolazione viveva al di sotto della soglia della povertà, ma seppe risollevarlo dalla gravissima crisi economica dei primi anni del millennio. La sua ricetta fu quella di opporsi strenuamente alle richieste del Fondo monetario internazionale, mantenendo la valuta locale debole per rilanciare le esportazioni e, di conseguenza, il lavoro e la crescita economica. La sua morte non ha aperto una lotta intestina al partito di governo, come temevano in molti, ma al contrario ha rafforzato l’immagine e il carisma di Cristina, assurta nell’ultimo anno a leader indiscusso delle masse popolari. La sua campagna elettorale ha puntato tutto sulle realizzazioni degli ultimi anni, a cominciare dai confortanti dati economici, che hanno consentito massicci investimenti nella scuola e favorito il rientro nel Paese di “cervelli” argentini a suo tempo fuggiti all’estero.

A contendere a Cristina la poltrona della Casa Rosada, ci sono 6 candidati. Alcuni sono vecchie conoscenze degli elettori: gli ex presidenti, i peronisti dissidenti Eduardo Duhalde e Alberto Rodriguez Saà, la sorpresa delle presidenziali del 2007, Elisa Carriò, e, per il redivivo partito radicale, Ricardo Alfonsin, figlio di Raul Alfonsin, che guidò il Paese negli anni immediatamente successivi alla fine della dittatura. Chiudono la rosa degli aspiranti il trotzkista Jorge Altamira e il socialista Hermes Binner. Le elezioni di domenica sono state precedute dalle primarie del 14 agosto scorso, che hanno eliminato dalla contesa i tre candidati che si sono fermati al di sotto della soglia dell’1,5%. Le primarie si sono tradotte in un plebiscito per l’attuale presidente, che ha superato di poco il 50% delle preferenze. Alfonsin e Duhalde si sono fermati appena sopra il 12%, Binner al 10% e Rodriguez Saà all’8%. Alle primarie di agosto ha preso parte oltre l’81% degli aventi diritto; chi non lo ha fatto allora, non potrà votare né domenica né all’ipotetico ballottaggio del 20 novembre. Accanto alle presidenziali, si vota per rinnovare metà dei seggi della Camera dei Deputati, un terzo di quelli del Senato, i governatori e i Consigli di 9 delle 23 province.