Bullicidio, bullismo che porta al suicidio


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Ucciso da un 'pappappero'

Si impiccano a 11 anni. I compagni li canzonavano bullismo_296_

di Mariaceleste de Martino
mceleste.demartino@rai.it

Anni fa, se un bambino faceva la linguaccia o una pernacchia a un compagno di classe e si prendeva gioco di lui dicendogli che era un “pidocchio” o un “ciccione”, e magari gli tirava i capelli o lo spintonava, veniva mandato dalla maestra nell’ufficio del preside per una punizione, e tutto finiva lì’. Oggi, negli Stati Uniti, anche un “pappappero” può costare una condanna per ‘bullismo’, un’atroce e subdola aggressione emotiva, verbale e fisica che può portare anche alla morte, o meglio al ‘bullicidio’, dall’inglese ‘bullycide’ (bullismo-suicidio).

E quando il bullismo non accade tra i banchi di scuola ma su internet, il problema diventa ancora più difficile da controllare. Gli attacchi con gergo infantile, il ridicolizzare con epiteti offensivi, le ripetute discriminazioni razziali o sessuali, si intensificano e si spostano sulla rete web, tramite messaggini sul telefono o via email, nelle chat o sui social network.

Un ragazzo americano, tra le centinaia di vittime del bullismo secondo le statistiche, ha creato un video in onore di chi non ce l’ha fatta a sopportare. E’ una lunga lista di nomi di ragazzi. La loro età fa impressione: la maggior parte è tra i 13 e i 17 anni, ma ci sono anche degli 11enni che si sono o impiccati o sparati perché canzonati e infastiditi fino all’esasperazione. Tra questi nomi, figura anche il nome dell’autore del video, un 12 enne, assieme ad altri nomi di vittime del bullismo che resistono, che sono vivi, ancora, ma che vogliono essere aiutati, e chiedono protezione.

I casi nazionali Usa, che hanno attirato l’attenzione della comunità internazionale, sono quelli di Phoebe. Il suicidio della ragazza 15enne ha portato all’inasprimento della legge anti-bullismo nello Stato del Massachussetts. Sei gli adolescenti accusati di stupro di minore e violazione dei diritti civili.

Altre storie simili: quella di Ryan, suicidato a 13 anni perché colpevolizzato per la sua omosessualità e “minacciato e insultato incessantemente”. Una ragazzina inglese, Kelly, si è tolta la vita a 13 anni. Eppure la madre, dice, per ben 30 volte ha denunciato i casi di bullismo nei confronti della figlia alla preside della scuola, senza ricevere assistenza. E poi, Jessica, Hamed e April 14 anni, Carl Joeseph e Ty , entrambi di 11 anni, Alexis, 17 anni, Megan, 13 anni, Dawn-Marie, 14 anni, tutti ragazzini che non hanno retto alle violenze del bullismo. Molti dei genitori di chi è morto, ma anche di studenti che stanno ancora subendo soprusi di questo tipo, “hanno denunciato il sistema scolastico per non averli protetti dai ‘bulli’”.

Numerosi i casi che trovano spazio solo sulle cronache locali, dal Canada agli Stati Uniti, nelle scuole pubbliche e private, dalla contea di Seminole in Florida a La Jolla in California, da Scranton Pennsylvania a Knox Country nel Tennessee, da Phoenix Arizona a Fargo nel North Dakota, da Fayetteville Arkansas, a Hudson Michigan, da Mentor Ohio a Louisville Kentucky, solo per nominarne una piccolissima parte, sono decine e decine i casi da Est a Ovest da Nord a Sud negli Usa portati davanti alle autorità locali, alcuni vinti e risarciti, altri persi.

Eclatante il caso del ragazzino americano, Jamey. Deriso sin dalle elementari perché stava sempre con le ragazzine, a 14 anni si è ucciso a metà settembre perché non ne poteva più di essere respinto dai suoi compagni di scuola in quanto omosessuale. Sin da piccolo ha dovuto subire frasi come: “O mio dio, quanto sei femminuccia, ma che sei gay?!”, ha raccontato la madre del ragazzo.

“Alle scuola medie gli atti di bullismo sono diventati insopportabili”, continua la madre. I suoi amici denunciavano gli abusi continui di altri studenti che ripetevano in maniera ossessiva parole come “frocio”o “checca” o aggettivi del genere.

Una volta al Liceo, il giovane aveva detto ai genitori che tutto andava bene e che le cose a scuola erano migliorate. E invece non era vero. Sul web, in un blog e sulla sua pagina di Facebook, parlava continuamente di bullismo e omofobia, e anche di suicidio. E nominava sempre la sua cantante preferita, Lady Gaga. Dopo poco tempo, il ragazzo si è impiccato fuori dalla sua casa alla periferia di Buffalo, New York. Frequentava la scuola di Williamsville. La polizia sta indagando per capire se sia possibile denunciare qualcuno per il decesso.

Il bullismo può essere uno dei principali motivi per cui un giovane decida di togliersi la vita, ma sicuramente è una spinta ulteriore che può far sprofondare in uno stato depressivo. Negli Stati Uniti crescono le richieste di approvare una legge federale anti bullismo e di proteggere le vittime da continue e pesanti molestie, da persecuzioni razziali e sessuali, una legge che punisca anche il bullismo elettronico.

Nel New Jersey, la legge è stata indurita dopo la morte di un altro ragazzo, Tyler, un 18enne eterosessuale, matricola alla Rutgers University, che si è lanciato dal ponte George Washington, tra New Jersey e New York. Il suo compagno di stanza è stato accusato del reato di “odio” e di “invasione della privacy”. Avrebbe usato una webcam per riprendere di nascosto un incontro intimo del suo compagno con un altro ragazzo. Il caso ha scatenato un dibattito nazionale sul bullismo e sulle pressanti e pesanti intimidazioni che portano a le peggiori conseguenze.

È lunga la lista di suicidi causati da reati che vengono catalogati sotto la voce “bullismo”. Storie personali che toccano la società intera, con i suoi tabù e il suo perbenismo. Di suicidio non si parla, spesso per non fomentarne altri, per evitare un copia-incolla. Ma fare outing della propria sessualità o avere la forza di denunciare uno stupro in famiglia o di parlare apertamente di abusi psicologici subiti a scuola, può aiutare, dicono gli esperti, a far parlare i più deboli senza vergogna e paura di essere sbagliati e considerati dei diversi.