La pressione arteriosa è la forza esercitata dal sangue sulle pareti delle arterie. Essa dipende principalmente da tre fattori: la quantità di sangue che viene immessa in circolo durante la sistole (contrazione del muscolo cardiaco), la forza di contrazione del cuore, le resistenze offerte dai vasi al passaggio del flusso sanguigno. Questi elementi subiscono un controllo mediato principalmente da stimoli ormonali e nervosi. Viene definita “sistolica”, o "massima" durante la contrazione ventricolare e “diastolica”, o "minima" durante il rilassamento ventricolare.
I valori della pressione arteriosa sono condizionati da diversi fattori: genetici, età, patologie concomitanti, abitudini alimentari, fumo, stili di vita, ma anche da sollecitazioni emotive o fisiche che possono provocare oscillazioni dei valori nel corso della giornata. Quando la pressione arteriosa, in base a più rilevazioni, risulta uguale o superiore al valore di 140 mmHg di sistolica o 90 mmHg di diastolica, si parla di “ipertensione”. Per essere considerati patologici i valori pressori elevati devono rappresentare uno stato costante, non occasionale.
L’aumento della pressione arteriosa nel tempo provoca danni alla parete delle arterie, favorendo la comparsa di malattie cardiovascolari (ictus, infarto del miocardio, scompenso cardiaco), renali (insufficienza renale), oculari (retinopatie). Essendo nella maggior parte dei casi asintomatica, spesso viene diagnosticata dopo diverso tempo dalla sua insorgenza, rappresentando una delle principali cause di mortalità e morbosità a livello mondiale in quanto grave fattore di rischio per patologie severe e invalidanti. L’ipertensione colpisce circa 15 milioni di italiani e un terzo della popolazione mondiale adulta. Ad oggi, solo il 5-10% dei casi presenta una causa identificabile, legata ad una patologia specifica (ipertensione secondaria). Nel 90-95% dei casi si parla di ipertensione essenziale, quando non è possibile identificare una causa scatenante. Il primo passo per ridurre i valori pressori consiste nel limitare i fattori di rischio attraverso l’attività fisica, il controllo del peso e dell’alimentazione, eliminando il fumo e moderando il consumo di alcol. Quando la modifica degli stili di vita non si rivela sufficiente, si fa ricorso alla terapia farmacologica antipertensiva. Oggi esistono diverse categorie di farmaci per il controllo della pressione arteriosa che interferiscono, a vari livelli, con i meccanismi che fisiologicamente la regolano. Spesso vengono utilizzati in modo “associato”, a seconda della storia clinica del paziente e della risposta alla terapia.
Nonostante il ruolo chiave dell’opzione farmacologica, spesso risulta difficile mantenere in modo costante i valori corretti della pressione arteriosa, anche per le difficoltà riscontrate, in molti pazienti, nel mantenere una corretta aderenza alla terapia prescritta. Si stima, infatti, che circa il 50% dei pazienti trattati farmacologicamente non riesca a tenere sotto controllo in modo stabile i livelli di pressione arteriosa. Di questi, poi, esiste un 2-5% che risulta resistente a qualsiasi terapia farmacologica. In questi casi si parla di ipertensione resistente o refrattaria, quando, cioè, nonostante l’impiego di almeno tre farmaci antipertensivi a dosaggi adeguati (incluso un diuretico), i valori pressori rimangono superiori o uguali a 140/90 mmHg. I pazienti con ipertensione arteriosa resistente presentano il maggior rischio di sviluppare patologie cardiovascolari e nefropatie. Spesso si tratta di pazienti che presentano un quadro clinico in cui esiste già una concomitanza di altri fattori di rischio come il diabete, l’obesità e l’età elevata. Per questi pazienti, da oggi, è disponibile un’opzione terapeutica chiamata denervazione renale selettiva.
(M. R.)