Il leader perfetto in tempo di crisi


Stampa

'Bad guys not good fellows'

Quando il gioco si fa duro, sono i duri che iniziano a giocare b

Il leader perfetto? Non e' esattamente il classico bravo ragazzo. I tipi 'santi' e votati al sacrificio stile Madre Teresa di Calcutta hanno fortuna solo quando si naviga in acque tranquille. Ma quando il gioco si fa duro, sono i duri che iniziano a giocare. Il detto, assicura un gruppo di ricercatori Usa autori di uno studio sul tema, e' presto dimostrato: sembra infatti che in situazioni ad alta competitivita' le persone egoiste, attente solo al proprio guadagno personale e senza scrupoli, veri 'bad guy' modello Al Capone, siano viste come dominanti ed esercitino un maggiore appeal come capi.

La ricerca, co-firmata da due ricercatori - Nir Halevy, assistente professore alla Stanford Graduate School of Business, e Robert Livingston, della Kellogg School of Management, Northwestern University - spiega perche' le persone 'belle dentro' non vengono considerate leader forti. Secondo gli autori la generosita', intesa come contributo al bene collettivo, e' tipicamente considerata una virtu', ma per un leader e' un segno di debolezza. Si tratta di una dote che influenza lo status in due dimensioni critiche: il prestigio e il dominio. "Le persone con un alto prestigio sono spesso considerate alla stregua dei santi, possedendo il senso del sacrificio personale e forti principi morali", spiega Livingston, "ma nonostante siano disposti a offrire le proprie risorse per il gruppo non vengono percepiti come solidi leader".

Cosi' Al Capone, secondo i ricercatori, puo' essere visto come individuo 'ad alto tasso di dominio', e Madre Teresa trasuda invece prestigio. Lo studio spiega che chi ha un alto prestigio e' percepito come leader desiderabile in contesti non competitivi, ma viene visto come sottomesso in confronto a coloro che ambiscono a massimizzare i propri profitti personali. E in tempi di 'guerra' sono proprio i meno altruisti a spiccare. "I nostri risultati mostrano che le persone vogliono che i membri rispettabili e ammirati del gruppo li guidino in tempi di pace, ma quando la situazione assume tinte forti preferiscono che sia la persona dominante e alla ricerca del potere individuale a guidarli", commenta Halevy.

Per testare la loro teoria, i ricercatori hanno condotto tre esperimenti in cui ai partecipanti e' stata data la possibilita' di scegliere fra attribuirsi un 'tesoretto' iniziale (10 gettoni per un totale di 20 dollari) per se stessi o far confluire i fondi nelle casse del gruppo. I contributi potevano essere usati per far beneficiare il gruppo oppure per danneggiare contemporaneamente un altro gruppo.

I primi due esperimenti hanno permesso agli scienziati di rilevare che l'egoismo e la dimostrazione di odio espressa verso l'esterno, con l'inutile privazione dei membri di un altro gruppo, accresce la posizione di dominio ma diminuisce il rispetto e l'ammirazione degli altri. Al contrario, la generosita' e la dimostrazione di affetto verso i membri di uno stesso gruppo, legata alla generosa condivisione di risorse con gli altri, aumenta il rispetto e l'ammirazione ma abbassa la capacita' di dominio. La condivisione generalizzata con il gruppo di appartenenza e gli 'outsider' ha invece le conseguenze piu' disastrose per lo status di una persona. La generosita' universale, secondo gli scienziati, fa crollare sia la percezione di prestigio che di dominio. In breve, e' la generosita' 'selettiva' rivolta al proprio gruppo che paga in termini di prestigio, mentre essere egoisti e belligeranti non suscitera' rispetto ma contribuisce alla costruzione dell'immagine di leader.

La conseguenza che gli scienziati hanno osservato e' che i soggetti dominanti hanno anche una maggiore probabilita' rispetto agli individui di prestigio di essere eletti come rappresentanti del gruppo, in caso di competizione con un altro gruppo. Ecco perche', secondo i ricercatori, essere 'belli dentro' non paga, anzi puo' avere conseguenze negative per la leadership. I 'bravi ragazzi', concludono gli autori dello studio, non ce la fanno a salire ai vertici, il gruppo non guarda a loro come a potenziali leader nei momenti di conflitto.