Presto potrebbe arrivare una bistecca sapendo che proviene da un laboratorio, che è stata prodotta in provetta senza uccidere animali. Allettante per gli animalisti, meno forse per chi ama la carne.
Quel che è certo è che scienziati olandesi dicono di riuscire a produrre nel giro di sei mesi carne in provetta a partire da cellule staminali.
I primi passi di questo esperimento destinato sicuramente a far discutere li sta muovendo Mark Post dell'università di Maastricht e a parlarne e' il magazine britannico New Scientist che racconta che Post e altri scienziati che sognano la bistecca artificiale si sono riuniti in Svezia per discutere del loro obiettivo.
Per ora ''nel piatto'' di questi scienziati sono finite striminzite strisce di muscolo pallido e quindi poco allettanti. Si tratta di 'carne di maiale' cresciuta a partire da staminali suine alimentate con siero di feti di cavallo. La carne ha fatto pure un po' di ''ginnastica'' in provetta, strattonata artificialmente per ottenere la classica elasticità e consistenza del muscolo che compriamo al supermarket, ma, neanche a dirlo, è cianotica perché priva di 'mioglobina' (analogo dell'emoglobina nel muscolo) e quindi di ferro che dà il caratteristico colore rosso alla bistecca.
Il punto è però che gli scienziati dicono che stanno rifinendo la procedura, che altri gruppi di ricerca hanno trovato staminali suine più promettenti e addirittura che si possono far crescere su un letto di cianobatteri al posto del siero di cavallo, così davvero non ci sono, dicono loro, rischi per la salute.
Ci riusciranno? E' tutto da vedere e poi comunque per commercializzare un prodotto simile oltre alle ovvie e non scontate autorizzazioni delle agenzie regolatorie bisognerebbe abbassare i prezzi di produzione (e un processo di crescita in provetta non e' a buon mercato al momento).
E poi che sapore avrà? Gli scienziati olandesi dicono che 'artificiale e' meglio' perché non uccidi animali e perché non sfrutti l'ambiente e non ''affoghi'' suini e bovini di ormoni e antibiotici che poi vanno a finire nei nostri piatti. L'ultima parola, speriamo, spetterà ai consumatori.