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Monti accosta verso Renzi

Dopo la crisi di Scelta Civica monti_sceltacivica_296

di Rodolfo Ruocco

Mario Monti da qualche giorno ha fatto sentire di nuovo la sua voce, dopo mesi di silenzio. L’ex presidente del Consiglio conquista le prime pagine dei giornali e le aperture dei Tg usando la sciabola: accusa Enrico Letta, il suo successore a Palazzo Chigi, di subalternità politica verso il PdL, il partito di Silvio Berlusconi. Domenica ha tuonato a In Mezz’Ora su Rai Tre: sulla cancellazione dell’Imu sulla prima casa «il governo Letta si è inginocchiato al PdL».

Sono accuse pungenti, lontane dai toni gravi ma sobri del professore di economia, dell’ex rettore dell’università Bocconi di Milano, incaricato da Giorgio Napolitano nel novembre 2011 di presiedere il governo dei tecnici per combattere l’emergenza dei conti pubblici e salvare l’Italia. Monti si è lasciato andare anche a battute aspre, lontane dall’antica pacatezza: «Certe volte il governo si scrive Letta ma si legge Brunetta, specialmente sulla politica economica». Un chiaro riferimento ai “diktat” del capogruppo del PdL alla Camera, Renato Brunetta. E ancora: «Vorrei che fosse veramente il governo del fare, ma per l’atteggiamento di Pd e PdL sta diventando il governo del disfare».

I toni, i temi e i contenuti dell’attacco ricordano quelli corrosivi di Matteo Renzi degli ultimi mesi. Il giovane astro nascente del Pd, il più forte candidato a sostituire Guglielmo Epifani alla segreteria del partito, il 5 luglio, intervistato da Rainews24, aveva praticamente avanzato le stesse critiche al presidente del Consiglio: «Se Letta fa bene, viva Letta…Lui deve far contenti Brunetta e Schifani. L’importante è che faccia contenti gli italiani, oltre che Brunetta e Schifani». Il sindaco di Firenze successivamente aveva attaccato ancora, prima di Monti, sul tema dell’imposta sulla casa: l’Imu «è un emblema straordinario di un modello secondo il quale il PdL non fa pagare le tasse e noi ci siamo cascati».

Le assonanze con Renzi sono forti anche sulla delicata questione della decadenza di Silvio Berlusconi da senatore, dopo la condanna in Cassazione per frode fiscale. Monti ha annunciato al Corriere della Sera di sabato scorso che va verso un sì: «Per me non è il giudizio su una persona, ma l’applicazione di una legge uscita un anno fa e allora non contestata. Qui vediamo se in Italia c’è o no lo Stato di diritto». Qualche mese prima Renzi ha tuonato: «Le sentenze si rispettano e la legge è uguale per tutti». E aveva aggiunto: per Berlusconi «l’ipotesi di salvacondotto non esiste» perché «ha una condanna definitiva con l’interdizione» dai pubblici uffici.

Monti è uscito dal silenzio, ha cominciato a cambiare registro criticando Letta, facendo rotta verso Renzi, qualche giorno fa. Il senatore a vita giovedì 17 ottobre si è dimesso da presidente di Scelta Civica, la sua creatura politica da lui fondata appena nove mesi fa, dopo uno scontro con una parte dell’ala cattolica dell’aggregazione centrista, in particolare il ministro Mario Mauro e Pierferdinando Casini. Ha rotto i ponti con 12 senatori del suo gruppo, in testa proprio Mauro e Casini. Di qui la decisione delle “dimissioni irrevocabili” e di lasciare perfino il gruppo parlamentare per passere a quello Misto.

Due i principali motivi della rottura, sfociata in pesanti accuse reciproche tra l’ex timoniere del governo tecnico e il tandem Mauro-Casini: 1) le riserve del senatore a vita sulla legge di Stabilità 2014 messa a punto da Letta, 2) il dialogo con il PdL di Berlusconi osteggiato da Monti per il persistente “populismo” e l’europeismo “a corrente alternata”. C’è anche un terzo motivo della rottura: lo scontro sulla decadenza di Berlusconi quando si dovrà pronunciare il Senato. Monti è per il sì alla decadenza; Mauro voterebbe contro «in nome dell’amicizia personale verso Berlusconi»; Casini starebbe riflettendo, così come altri senatori del gruppo centrista.

I contrasti tra le diverse anime di Scelta Civica (i montezemoliani di Bombassei-Romano, i cattolici di Dellai-Olivero, gli ex PdL di Mauro, gli Udc di Casini) possono avere un effetto domino, con la disgregazione dei poli usciti dalle elezioni di febbraio e la formazione di nuove alleanze in vista del voto europeo del prossimo anno. Monti ha annunciato: «Io avrei fatto volentieri un accordo con il PdL, depurato però. E non è solo Berlusconi e non voglio fare una lista di nomi». Una cosa è certa: il Partito del Loden del Professore è in coma, i vari “pezzi” prodotti da una probabile rottura non saranno più autonomi come lo era Scelta Civica; saranno attratti o dal centrosinistra o dal centrodestra. Il senatore a vita ha fatto la prima mossa e si è accostato verso Renzi. In gioco c’è il 10% dei voti conquistati da Scelta Civica nelle elezioni di febbraio.

Per ora Letta si limita a replicare alla critiche parlando al convegno della Confindustria sulla digitalizzazione. Ha rilanciato il tema del lavoro: “La disoccupazione giovanile è l’incubo nazionale” perché con il 40% dei ragazzi a spasso “il Paese è senza futuro”. Il presidente del Consiglio ha indicato la travagliata vita del suo esecutivo di larghe intese: i sei mesi della navigazione del governo sono stati “non semplicissimi” e bisogna dire dei no perché altrimenti “si mettono tutti a bordo e non si decide niente”.