Combattere l'Alzheimer


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Conosciamo i fattori di rischio, il futuro fa sperare

Intervista a Nicola Vanacore, ricercatore del centro nazionale di epidemiologia dell’Istituto Superiore di Sanità

In Italia i casi di persone affette da demenze sono circa un milione: il prof. Nicola Vanacore, ricercatore del centro nazionale di epidemiologia dell’Istituto Superiore di Sanità, ci parla degli interventi, dei progetti e dello stato dell’arte dei farmaci per contrastare l’Alzheimer.

Professore, quanti sono i casi di demenza in Italia?
Possiamo stimare in circa 1.000.000 di persone affette da demenza con circa 4.000.000 di italiani direttamente coinvolti nell’assistenza dei loro familiari. Non si conoscono le cause della demenza, ma oggi possiamo affermare che l’ipertensione, il diabete, l’obesità, la depressione, il fumo, la bassa scolarità e la scarsa attività fisica sono fattori di rischio per l’insorgenza della malattia. Ciò significa che controllando uno o più di questi fattori saremo in grado di ridurre il numero di casi negli anni futuri.

Sono numero impressionanti, ma quale è il livello di assistenza dei pazienti con demenza in Italia?
In Italia ci sono circa 500 Centri esperti dedicati alla diagnosi e trattamento della demenza. L’Italia è stato probabilmente il primo paese a puntare sulla creazione di questi centri specializzati, con il Progetto Cronos nel 2000, questo esempio è stato poi seguito anni dopo dalla Francia, Gran Bretagna e Germania. La questione è che nel tempo queste strutture non sono state sostenute adeguatamente dai sistemi sanitari regionali. Possiamo affermare che esistono importanti differenze regionali nell’assistenza dei pazienti e dei loro familiari; da un lato vi sono regioni come la Lombardia che hanno cercato di organizzare tutti i servizi dedicati alle demenze in modo coordinato, e la realtà della provincia di Brescia probabilmente rappresenta una punta di eccellenza con l’adozione di un Percorso Diagnostico Terapeutico Assistenziale che significa semplicemente che ogni professionista socio-sanitario sa cosa deve fare e in quali fase della storia naturale della malattia, dall’altro esistono regioni che non sanno neanche quanti e quali sono i centri esperti per demenza presenti sul proprio territorio. In questo quadro regionale molto disomogeneo il Piano Nazionale per le Demenze è fermo da più di 20 mesi alla Conferenza Stato-Regioni. E non se ne capisce la ragione. Questo documento programmatorio rappresenterebbe un punto di svolta nel governo clinico delle demenze. Ecco quindi che mentre noi rincorriamo le frammentazioni dei sistemi regionali socio-sanitari in Francia mettono in rete le 400 cliniche della memoria e disegnano politiche a carattere nazionale. Un altro problema rilevante è dato dalle forme contrattuali della stragrande maggioranza dei 2000 operatori sanitari che lavorano nei centri esperti per la demenza in Italia. Questi infatti sono precari, con tutte le conseguenze che ciò comporta in termini di formazione e di continuità assistenziale.

Esistono trattamenti efficaci per i pazienti con demenza?
Vi sono due categorie di farmaci, quelli per i disturbi cognitivi e quelli per i disturbi comportamentali. I primi si riferiscono agli inibitori delle colinesterasi e alla memantina ed hanno un effetto limitato nel tempo e sono efficaci solo per un sottogruppo di pazienti con demenza. I secondi appartengono alle categoria degli antipsicotici e sono nella stragrande maggioranza dei casi utilizzati al di fuori delle indicazioni presenti sul foglietto illustrativo. Sono farmaci molto delicati con importanti rischi per la salute dei pazienti, ma possono essere utili nella fase clinica più grave della demenza, quella con il maggiore carico assistenziale, quando prescritti in modo appropriato a dosaggi bassi e per brevi periodi di tempo. L’AIFA fin dal 2005 consente la prescrizione e la rimborsabilità degli antipsicotici ai pazienti con demenza in un sistema di farmacovigilanza. Il punto è che nessuno in questi 8 anni ha mai raccolto le informazioni provenienti da questo flusso informativo perdendo una grande occasione per la conoscenza di un fenomeno estremamente delicato nella gestione del paziente affetto con demenza. Ci sarebbe necessità di un intervento forte di sanità pubblica sul piano del farmaco che consentisse da un lato di promuovere una ricerca su nuovi principi attivi per controllare soprattutto i disturbi comportamentali, visto la pressoché completa assenza delle case farmaceutiche orientate solo alla ricerca dei trattamenti sui disturbi cognitivi, dall’altro, sul piano regolatorio, di uscire dalla “palude” dei provvedimenti tampone e di prevedere una situazione a regime della prescrizione dei farmaci antipsicotici. Esistono poi una serie di trattamenti non farmacologici di tipo cognitivo e riabilitativo che possono essere molto utili nella gestione del paziente con demenza così come interventi psicoeducazionali per i familiari dei pazienti.
In tutti questi ambiti, farmacologici e non farmacologici, bisogna promuovere una cultura orientata alla medicina basata sulle evidenze. Si tratta di quella corrente di pensiero in medicina che persegue trattamenti realmente significativi ed utili per la vita del paziente, che richiede l’onere della prova a chi propone un nuovo trattamento in modo documentabile e replicabile. Questo implica anche una profonda revisione degli strumenti comunemente utilizzati per valutare l’efficacia di un trattamento. Si sottolinea inoltre che questo approccio è fondamentale in sanità pubblica perché aiuta a scegliere su dove indirizzare le limitate risorse a disposizione. Questo è un tema molto delicato per la nostra società. Nelle situazioni estreme e di dimensione epidemiche come la demenza è molto facile propagandare, in forme e modi talvolta molto subdoli, trattamenti falsamente curativi creando attese erronee nei pazienti e talvolta anche nei medici. Si consideri ad esempio la triste vicenda di cronaca di qualche anno fa di Sassari dove alcuni medici hanno illuso decine di pazienti e familiari con un trattamento definito di “psiconeuroanalisi”.

Quindi esiste un’emergenza etica per i pazienti con demenza?
Direi proprio di si. E’ necessario diffondere una cultura della valutazione della competenza di un paziente con demenza che porti ad affrontare in modo diverso il tema della comunicazione della diagnosi, che consenta quindi di incentivare il ricorso alle direttive anticipate e all’istituto dell’amministratore di sostegno. In questo senso dovremmo trovare, soprattutto in Italia, forme più snelle di recepimento della direttiva europea sugli aspetti etici relativi agli adulti incapaci che non significhi necessariamente il ricorso automatico ad un giudice tutelare per la nomina di un amministratore di sostegno. Non possiamo intasare i tribunali da centinaia di migliaia di pratica ma non possiamo neanche ignorare gli aspetti etici nella gestione di un paziente con demenza.

Secondo la sua esperienza, quali sono le prossime sfide della tecnologia per la diagnosi della demenza?
La sfida della moderna medicina sarà soprattutto quella di individuare le fasi precoci dell’inizio della demenza. Nel fare ciò è necessario comprendere che se da un lato la ricerca è sacra e sempre più soldi dovrebbero essere investiti in questo ambito, dall’altro non bisogna confondere la ricerca con l’assistenza perché molte volte si assiste ad uno spreco di denaro pubblico rincorrendo markers biochimici o di neuroimmagini (PET-SPECT) che non sono ancora validati, e quindi realmente utili, nella pratica clinica corrente sul singolo paziente. Un altro paradosso di questa situazione è che se da un lato una gran quota di pazienti con demenza arrivano al medico specialista in una fase già avanzata di malattia dall’altro a quegli stessi medici giungono persone anziane con lievi deficit cognitivi che nella loro vita non svilupperanno mai la demenza ma che alcuni medici specialisti ritengono che siano già malati. Nella storia della medicina la distinzione tra l’invecchiamento fisiologico e patologico è sempre stato un tema ricco di polemiche che in questa epoca salutista si connota di riflessioni di ordine sociale e di tipo filosofico su come vanno considerati e studiati i fenomeni complessi, tra i quali rientra senza dubbio la demenza.

Professore, cosa dobbiamo aspettarci nei prossimi anni?
Vorrei concludere questa intervista ricordando una frase di Einstein. Ritengo che la demenza rappresenti una situazione emblematica di questa nostra difficoltà. "Non pretendiamo che le cose cambino, se continuiamo a fare le stesse cose. La crisi può essere una grande benedizione per le persone e le nazioni, perché la crisi porta progressi. La creatività nasce dall'angoscia come il giorno nasce dalla notte oscura. E' nella crisi che sorge l'inventiva, le scoperte e le grandi strategie. Chi supera la crisi supera sé stesso senza essere superato. Chi attribuisce alla crisi i suoi fallimenti e disagi, inibisce il proprio talento e dà più valore ai problemi che alle soluzioni. La vera crisi è l'incompetenza. Il più grande inconveniente delle persone e delle nazioni è la pigrizia nel cercare soluzioni e vie di uscita ai propri problemi. Senza crisi non ci sono sfide, senza sfide la vita è una routine, una lenta agonia. Senza crisi non c'è merito. E' nella crisi che emerge il meglio di ognuno, perché senza crisi tutti i venti sono solo lievi brezze. Parlare di crisi significa incrementarla, e tacere nella crisi è esaltare il conformismo. Invece, lavoriamo duro. Finiamola una volta per tutte con l'unica crisi pericolosa, che è la tragedia di non voler lottare per superarla". (FdJ)