In contemporanea in 230 sale


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‘Bruce Springsteen & I’

Il film è prodotto da Ridley Scott bruce_springsteen_296

di Maurizio Iorio
(maurizio.iorio@rai.it)  

Che i due, Bruce Springsteen e Ridley Scott, fossero destinati prima o poi ad incontrarsi, era scritto nel dna dell’arte, i cui geni attirano i propri simili e respingono i diversi. Non è dato sapere se il Boss e il regista inglese abbiano studiato a tavolino il progetto, ma certo qualche idea devono essersela scambiata. Per forza. Il progetto di cui sopra è un film di 80 minuti, “Bruce Springsteen & I”, diretto dal regista di video musicali Baillie Walsh, e prodotto da Ridley Scott. La pellicola verrà proiettata in contemporanea mondiale in 50 paesi il 22 luglio, in Italia nelle 230 sale dei circuiti The Space e Uci. Per soddisfare le enormi richieste, la catena The Space effettuerà la proiezione anche il 23 ed il 24.

Che Ridley Scott sia un regista “rock” è fuor di dubbio, è scritto nel suo curriculum e nei film che ha girato. I protagonisti delle sue pellicole di maggior successo, Ripley, Deckart, Quinto Fabio Massimo, sono persone che incarnano la purezza, il romanticismo, l’innocenza, la voglia di riscatto, l’anelito di libertà, la disillusione, che sono i caratteri precipui degli eroi springsteeniani e le tematiche ricorrenti della sua poetica stradaiola (per la disillusione, basti riascoltare “The ghost of Tom Joad”, tanto per fare un esempio). Il docu-film di Walsh ribalta l’ottica della macchina da presa, nel vero senso della parola. Racconta il Boss visto dal di qua, dalla parte del pubblico, da parte di quel popolo migrante che lo segue e lo adora, e che cerca ancora la Terra Promessa (“The promised land”) sotto la guida dal suo Mosè in carne ed ossa. Il rapporto fra il Boss e il suo pubblico è simbiotico ed osmotico. Non c’è nessun’altra rockstar che a 64 anni possa vantare un seguito per metà composto da minorenni, che conoscono a memoria le sue canzoni e lo venerano come un padre putativo, l’unico in grado di infondere speranze, far realizzare i sogni e indicare il cammino.

Walsh ha lavorato su filmati inediti, testimonianze, confessioni, ha vissuto con i fan emozioni, fantasie, lacrime, gioie, tutto il caravanserraglio di sentimenti che la devozione può provocare nel devoto. Perchè è proprio questa la cosa che ha colpito di più il regista: la devozione reciproca, quella dei fan verso il Boss e quella del Boss verso il suo pubblico, con il quale Springsteen ha un rapporto complice e paterno, sa di essere una “spiritual guidance”, e non si sottrae all’onere. Come disse un vecchio critico rock, molti anni fa, “il Boss va partecipato: o lo si ama spassionatamente, o lo si detesta appena attacca un refrain”. Sono in molti, fra i non iniziati, a non capire la devozione di cui sopra, a non comprendere le ragioni del pellegrinaggio di questo popolo che segue più e più volte, peraltro alleggerendo di molto il portafoglio, le tappe del vari tour del Boss. Forse questo film riuscirà a svelare il mistero, a fornire una spiegazione accettabile a chi non capisce le ragioni della fede. Perché di fede si tratta, fede “nell’ultimo eroe romantico ed innocente di una generazione di perdenti”.

“Questo film – ha detto Ridley Scott – “fornisce una visione unica e straordinaria dell’immenso feeling tra un artista e tutti coloro che sono profondamente affezionati alla sua musica”. Detto questo, oltre a spezzoni d’epoca e interviste ai fan, in coda al docu-film c’è una bella chicca: ben sei canzoni tratte dal concerto dell’ “Hard Rock Calling” dello scorso anno ad Hyde Park, a Londra: “Thunder Road”, “Shakled and drawn”, “Because the night” , “We are alive”, “I Saw her standing here” e “Twist and shout”, queste ultime due insieme a Paul McCartney, prima che dei solerti funzionari della Corona staccassero la spina al concerto per aver sforato i tempi. Black out, tutti a casa, la Regina dorme. .