Restauro del territorio


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La ‘macchia bianca’ di Bernard Lassus

Il primo progetto italiano del paesaggista francese macchia_bianca_296

di Laura Mandolesi Ferrini

Per quanto sia difficile fornire una descrizione fedele di Bernard Lassus, artista poliedrico e ricercatore insaziabile, possiamo affermare che di fronte a lui ci si sente come davanti a un viaggiatore. Un viandante curioso e ricettivo, con la rara capacità di saper raccontare. Lassus racconta a studenti, professori e laureandi della Facoltà di Architettura della Sapienza di Roma, i numerosi viaggi nel Cilento, che dal settembre 2004 lo hanno portato a elaborare, nel Parco Baia dei Pini, un piano di restauro del tutto innovativo rispetto alle esperienze italiane. Inizia così a raccontare come si è avvicinato al parco, come lo ha percorso e attraversato fino a quando ha voluto vederlo anche dal mare. In questo modo, in mezzo ai verdi cupi della macchia mediterranea, ha potuto osservare, in tutta la sua invadenza, quella che lui chiama una “tache blanche”: una “macchia bianca” : un gruppo di case, frutto della sfrenata speculazione edilizia degli anni ‘80. Un complesso turistico abusivo in un parco naturale, in un altro Paese sarebbe stato demolito. Ma in Italia Lassus ha dovuto fare i conti con l’impossibiltà di tornare indietro. Come trovare quindi un compromesso fra il ripristino ambientale, il restauro paesaggistico e la sicurezza?

Ridurre gli errori: gli studi preliminari. Lassus ci tiene innanzitutto a far comprendere quanto sia importante investire tempo e energie negli studi del territorio che precedono la fase del progetto. Questo, per ridurre al massimo gli errori che possono col tempo portare a ingenti perdite economiche. Lassus insegna ormai da anni quanto, oltre alla rilevanza di questa fase in sé, sia importante una capacità di indagine a 360 gradi. Bisogna rivolgersi all’ambiente, alla storia, ai luoghi, anche a quelli più periferici, e sviluppare una capacità di ascolto nei confronti di chiunque, dalla committenza, alla comunità, agli stessi individui. Questo tipo di ricerca, che lui definisce “analisi inventiva”, un’analisi pluridisciplinare, adatta a integrare l’immaginazione del paesaggista agli aspetti più oggettivi, è fra le caratteristiche più originali di Lassus, riconosciute anche dall’antropologo Lévi-Strauss come un vero e proprio nuovo ambito di indagine.



Problemi di sicurezza. Non potendo demolire le case, “la questione riguarda più il paesaggio che non l’architettura”, ci dice Lassus. E per rispettare i problemi di sicurezza, è necessario “vegetalizzare il massimo della superficie”. Su un suolo fortemente in pendenza, la soluzione proposta per far fronte ai rischi di smottamento è quella della “viminata viva”. Una tecnica di ingegneria naturalilstica che consolida il terreno e previene frane ed erosione (V. disegno sopra). Ma il problema della “macchia bianca” resta. Come distruggerla senza distruggere case e muri?

Questioni di percezione. Colorando le case. La soluzione è semplice ma inedita nel nostro Paese e contiene il messaggio più sottile: saper guardare è saper comprendere. Lassus ha già colorato le facciate di edifici popolari in Francia. Visitava le periferie parigine e sistemava i giardini con poche cose: il paesaggio è anche questione di attenzione, di cura. Ora, davanti alla nosra “macchia bianca”, Lassus espone il suo percorso cognitivo: per uscire dalla “prigione mentale” degli stereotipi, bisogna imparare a lavorare con la percezione. E racconta che per acuire le sensazioni nel luogo in questione, ha preso una barca, da cui ha osservato la costa a varie distanze e in diverse ore della giornata. E ha ripetuto l’operazione più volte, tornando nel Cilento due volte all’anno. “Un luogo – aferma – ha importanza quando ci sono delle reazioni”. E continua: “La disciplina del paesaggio è una disciplina vera e propria che ci porta a capire due cose fondamentali: 1) la potenza della visione: noi sottovalutiamo ciò che appare ai nostri occhi. 2) la potenza della divisione dello spazio: quello che noi percepiamo, ammirando un paesaggio, è qualcosa di indipendente dagli oggetti che lo compongono: è una sintesi”. Per questo un gruppo di tante case appare, da lontano, come un’unica macchia indistinta. Non si distinguono memmeno gli alti muri di contenimento fra un edificio e un altro.

Questioni di colore. Ma alla fine, spiega Lassus, tutto questo bianco si può colorare. Sarà il colore a mimetizzare le costruzioni con l’ambiente circostante, a “ridurre la macchia” e a farla “scivolare nel paesaggio”. Le immagini che ci mostra Lassus sono molto suggestive. Sono una una soluzione pittorica che oltre a quella di ingegneria naturalilstica rappresentano un’alternativa all’impossibilità di intervenire sull’architettura. Il Parco di Baia dei Pini come una tavolozza. O una tela. O un “laboratorio del lessico di Lassus” , come spiega Paola Capone, storica dell’Arte, che ha seguito il percorso cilentano del paesaggista e lo ha sintetizzato in: “Il Restauro impossibile”. L’autrice si augura, non a torto, che questa esperienza “oltrepassi il caso singolo del Parco e apra ad una questione ben più ampia e poco frequentata in Italia, con conseguenze rivoluzionarie per coloro che nel peesaggio operano”.

Oltre il parco. Questo certo comporterebbe un prfondo mutamento non solo per chi deve adottare un nuovo metodo di indagine ma anche per tutte le questioni inerenti alla formazione. L’Aula Magna della facoltà è gremita. Quasi tutti giovani. Lassus ha parlato di molte altre cose inerenti al paesaggio e alla progettazione. Nessuno ha parlato delle emergenze ambientali in questi giorni. Solo l’architetto Zagari ha affrontato il problema della distruzione del territorio da parte della speculazione che solo a questi disastri conduce. E ha concluso affermando che la condizione del paesaggio in Italia “è più critica e meno critica di quanto non si creda”: più critica per la devastazione quasi totale e il non rispetto delle regole. Meno critica per qualcosa che lui “sente” (mi sembra di percepire…) fra i giovani e in particolare i giovani architetti e paesaggisti: un fermento culturale e “una grossa capacità” di organizzarsi dal basso. Allora se Zagari intuisce queste vibrazioni… Forse stiamo già assimilando il messaggio di Lassus. Per questo concludo con le parole di un altro giovane, Craufurd Tait Ramage, che dalla Scozia viaggiò nel cilento nel 1828 e davanti alla forza rivelatrice del suo paesaggio scrisse: “”Non sono poi tanto schiavo della mania per le antichità da non riconoscere che un panorama così vario come quello che ora stavo ammirando non parli più eloquentemente al cuore e non abbia un influsso morale superiore a qualsiasi opera dell’uomo, per quanto magnifica, anche se questa stia a testimoniare di una delle pagine più luminose della storia umana” (da: Il restauro “impossibile” un progetto di Bernard Lassus per il Cilento, di Paola Capone, Area Blu edizioni, 2011).  

Bernard Lassus (Chamalieres, Francia, 1929), diplomato all’Ecole Nationale Supérieure des Beaux Arts, e allevo di Fernand Léger, è tra i fondatori del paesaggismo francese. All’attività di progettista ha sempre affiancato quella di docente universitario e consulente per il paesaggio in interventi pubblici, molti dei quali per le infrastrutture territoriali.

Cofondatore dell’Ecole Nationale Supérieure du Paysage di Versailles, ha formato molte generazioni di progettisti. Fra le sue opere, il Giardino à la Métis (Canada) e I Giardini per la sede di Colas (Boulogne-Billancourt). Opere di Lassus sono state esposte in molti musei.


Le immagini sono tratte dal libro Il restauro “impossibile” un progetto di Bernard Lassus per il Cilento, di Paola Capone, Area Blu edizioni, 2011